La leggenda di Predjama
“Gospa Betka, gospa Betka“, era il postino, che passava di lì ogni tanto, con una bicicletta antica, come i baffi che portava orgogliosamente. Elisabetta Jencek era una bella donna sui trenta, con lo zigomo forte e il portamento solenne. L’aveva sposata Augusto, un italiano del Friuli.
Augusto era venuto a lavorare a Postojna quando la Guerra mondiale, la seconda, stava finendo. Un pomeriggio d’estate, un sabato, con alcuni giovanotti era venuto a visitare l’antico maniero di Predjama, incastonato tra le rocce come una sentinella del tempo. Lì, in una grande casa, Marja e Iermej custodivano le nove figlie.
Betka vide il bello italiano e lo volle. Erano giorni di vento e pioggia, e di tempesta. Un’estate strana. La casa era grande perché erano in tanti, ma i due bimbi maschi erano morti presto, con quei mali che venivano ai piccoli, allora. A quel tempo bisognava andare a prendere il medico a Postojna, e non sempre era a casa, magari stava ad assistere una partoriente a Idrjia o nella remota valle del Vipacco. A volte si spingeva fino alle case sparse di Trnova, per strade dissestate che raggiungeva col calesse coperto di Ivan, un coupè autriaco di fine ‘800. Il medico era un avventuriero, una volta l’avevano trovato da una vedova a Livek, vicino a Kobarid, addormentato e ubriaco.
Il castello di Predjama è a pochi chilometri dalle Grotte di Postojna, lì da 700 anni sulla roccia alta. Dicono che fosse la dimora segreta del temerario cavaliere Erasmo, loro antenato. Ai tempi ferrei di Erasmo non era raro che il signore del luogo avesse figli da donne diverse dei suoi domini.
Elisabetta Jencek aveva fatto due bimbe con Augusto. Una l’avevano chiamata come in quel racconto provenzale di Mistral, Mirejo. Aveva il volto della madre, e forse anche di nonna Marja, ma era snella e agile come il padre.
Le altre otto figlie di Marja e Iermej si erano sparse per tutta la Slovenia e anche ai confini con l’Italia, dove vive una popolazione che parla la lingua antica dei padri slavi, la Benecìa, mescolata con il Friuli.
L’altra figlia della Betka, la Jo, si era fermata nella valle che unisce il confine con le pendici del Matajur, a Valova dove nei torrenti vivono le kryuapete.
Erano le più belle, quelle che i giovanotti di quelle plaghe, e anche da più lontano, avrebbero voluto. Ora si sono perse di vista, ma di sicuro tornano a Predjama, passando per le montagne del confine.
Ogni tanto pareva di vederle pregare, l’una e l’altra, ma mai insieme, a Zveta Gora o a Castelmonte, ed era come un sogno, cioè era vero, tanto quanto il cambio delle stagioni.
Stagioni che scandivano il tempo delle loro vite, con i colori e il vento mutevole, gli scorci boscosi e gli animali furtivi. Così racconta la leggenda, che non è una favola antica, ma un modo di narrare la verità delle cose, come appaiono a chi ne osserva attento il fluire.
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