Liberi o schiavi?
A volte mi chiedo se sia più libera una monaca di clausura o un manager internazionale à la Marchionne; oppure se sia più libero Balotelli che si guadagna la pagnotta milionaria per quest’anno e per quelli a venire con una ventina di goal all’anno, o un perito meccanico ventitreenne che attrezza un centro di lavoro per produrre componenti in acciaio speciale; ovvero, ancora, se sia più libero un politico potente come Putin o un agricoltore della Val di Non. Quanto sono liberi i ragazzi che comunicano quasi esclusivamente con i cellulari? O sono schiavi contemporanei? E via chiedendomi. Mi sovviene poi la nozione liberale à la Stuart Mill che sosteneva essere la libertà individuale limitata dalla libertà altrui, e obietto: se è così come la mettiamo se i due individui sono un carcerato e il suo carceriere, caro Stuart Mill? Forse, come sempre, bisogna prendere con le pinze della metafora queste definizioni, o si rischia di vedere il mondo attraverso lo specchio deformante di una specie di autismo argomentativo.
Infine mi soccorre, come spesso accade, la riflessione realista di Tommaso d’Aquino, che sostiene essere la libertà un “volere ciò che si fa“, non un “fare ciò che si vuole“, dove il filosofo mite mette in luce la volontà ragionante, piuttosto che la scelta indiscriminata.
Nella mia esperienza spesso incontro persone che pensano di essere libere perché comandano, perché hanno potere sugli altri, ma mi sorge un dubbio: non è che anche costoro son captivi, cioè catturati da un bozzolo di cui non si rendono conto, e nel quale sono reclusi? La libido potestatis, che ottenebra limitando l’orizzonte razionale e la visuale prospettica. Come la metteranno costoro quando il tempo avrà fatto il suo corso indebolendoli e facendoli sostituire? Come vivranno il travaglio della perdita del potere? Come elaboreranno quel lutto? Perché di un vero e proprio lutto si tratta.
Forse la vera cattiveria è questa inconsapevolezza. Su questo ci soccorre Nietzsche: l’uomo è tanto più libero quanto più riesce a vedere il proprio limite, che è generato dal suo stare in mezzo ai suoi simili in un contratto sociale, dove può essere -di volta in volta- debitore o creditore, servo o padrone.
Nietzsche chiede all’uomo di innalzarsi superando l’umanità senza sbocchi dell’inconsapevolezza in uno sguardo capace di comprendere altre condizioni di possibilità esistenziali. Diventare finalmente ciò che si è solo in potenza, a questo esorta Friedrich. E non è un’esortazione all’arroganza, alla protervia e infine alla prepotenza, ma semplicemente alla liberazione dallo stato di cattività di chi non pensa, o pensa solo a se stesso come centro del mondo, ed è destinato alla sconfitta, prima o poi. Ma di sicuro. Schiavo, anche se apparentemente libero e dominante.
Libero è chi cerca il proprio limite accettandolo e rischiarandolo con la luce consapevole della ragione.
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