Fabbri-canti di parole
Strumenti per pensare, di Daniel Dennett (trad. di Simonetta Frediani, Raffaello Cortina ed., Milano 2014). Libro da leggere, perché il filosofo inglese fa un ragionamento molto semplice: ogni attività umana ha bisogno di essere pensata, per essere pensata necessita di strumenti cognitivi, e qualcuno deve predisporre questi strumenti, proprio come accade nelle attività pratiche, nei mestieri di costruzione di oggetti, nell’artigianato.
La poesia stessa, come luogo dove si costruiscono parole per significare immagini, metafore e altre figure linguistiche è un’attività fabbrìle. E fa esempi: “(…) non sono i falegnami a fabbricare i martelli e le seghe, non sono i muratori a fabbricare le cazzuole e i secchi, non sono i sarti a produrre le forbici e gli aghi, non sono gli idraulici a fabbricare le chiavi e le pinze, ma i fabbri sanno forgiare martelli, tenaglie, incudini, cazzuole, secchi e scalpelli, usando il ferro e i suoi derivati.” E’ quindi il mestiere del fabbro che rende possibili gli altri mestieri.
Quale è allora il mestiere che permette di pensare con parole che significano concetti, idee e strutture di pensiero? Dennett fa qualche esempio: Aristotele con i suoi sillogismi dà inizio alla logica occidentale; Descartes con i suoi assi (ascissa e ordinata) consente lo sviluppo del calcolo infinitesimale a Leibniz e Newton; Thomas Bayes propone il suo teorema sul pensiero statistico, Pascal quello sul calcolo delle probabilità… e via dicendo.
Chi sono questi fabbri? Sono i filosofi quando, partendo dall’intuizione poetica (poietica, cioè del fare) e dalla filologia, dialogano con la logica e la matematica, cercando di rigorizzare e purificare (passare attraverso il fuoco) il pensiero.
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