Libero o “servo” arbitrio?
Non si riesce mai a intravedere una conclusione, una risposta ragionevolmente convincente a questa sempiterna questione: se si sia liberi di decidere delle cose che facciamo, o se si sia condizionati dalla biologia, dall’elettrochimica cerebrale, o comunque da un determinismo causale più forte di ogni ipotesi di volontarietà dell’azione (umana). Come Erasmo da Rotterdam era convinto del libero arbitrio, al contrario frate Martin Lutero riteneva che nulla liberamente potesse l’uomo su di sé e verso gli altri e la natura, ma per questo bisognasse affidarsi alla Grazia divina, e alla Fede salvifica (servo arbitrio). Sotto un altro profilo lo stesso Hume dubitava fortemente di un principio di causalità immediato e chiaramente efficace (per il pensatore inglese, quella del libero arbitrio era “la più controversa delle questioni antropologiche“).
Quel Kabobo che ha ammazzato a picconate tre persone è stato condannato a vent’anni, perché solo parzialmente capace di deliberazione e di conseguente libera azione. Sento dire in giro “troppo poco“, e qualcun altro chiosa “e i ladroni in camicia bianca che la fanno spesso franca?”
Il tema, come abbiamo più volte osservato, mette in questione, non solo aspetti di ordine antropologico-morale, ma nel contempo la stessa natura del diritto penale e della legittimità delle sue deliberazioni e sanzioni, a questo punto da intendere come conseguenze assai dubbie rispetto al principio di afflizione del reo per il male commesso, in quanto reato, vale a dire violazione della legge positiva del consorzio umano.
In teologia morale la stessa nozione di peccato viene messa in questione.
Le neuroscienze, in questo caso la neuroetica, si dibattono nel tema con non poche contraddizioni e diversità di pareri.
Registro un paio di lavori appena usciti: Libero arbitrio. Storia di una controversia filosofica, a cura di M. De Caro, M.Mori, E. Spinelli e AA, Carocci, Roma 2014, e Free Will di Mark Balaguer, Cambridge (Mass), London (UK), 2014.
Nel primo volume gli autori compiono un’ampia carrellata sul pensiero filosofico e psicologico dai tempi dell’antica Grecia ai giorni nostri, rilevando come i vari autori siano spesso in disaccordo, e non per sfumature del pensiero, tra i due poli relativi all’esercizio consapevole della libertà. Aristotele spicca, assieme a Tommaso d’Aquino, per la sua nozione di libertà che si propone alla sensibilità contemporanea in modo senz’altro insolito. Per lo Stagirita e l’Aquinate la libertà umana non si declina come un “fare ciò che si vuole“, bensì come un “volere ciò che si fa“, sottolineando il ruolo della ragione nel processo deliberativo e dell’azione.
Nel secondo volume citato, il Balaguer, assai informato circa le ultime della ricerca neuroscientifica, pur dichiaratamente materialista e ateo, non ritiene che tutto ciò che viene “deciso” e compiuto dall’uomo ricada sotto il dominio della determinazione biologistica, nonostante si debbano ammettere certe concomitanze, come quelle scoperte dal Libet: secondo le ricerche di questo autore la coscienza soggettiva non deciderebbe il-da-farsi, ma verrebbe “solo” informata di ciò che il soggetto agente sta per compiere (!). A questo punto la dottrina sottesa al racconto cinematografico spielberghiano Minority Report, assumerebbe una certa plausibilità: nel film la polizia arresta chi “starebbe” per compiere un crimine. Non quindi la sanzione per il male commesso, ma la prevenzione di un male in procinto di essere commesso.
La stessa nozione di coscienza individuale, di responsabilità, di un “volto” distinguibile e nominabile a questo punto sarebbe (è?) in panne! Però Balaguer ammette l’impossibilità di separare del tutto la dimensione biologica da quella psicologica, pena l’anomizzazione di ogni possibilità di giudizio razionale e morale sull’agire umano libero (?).
La libertà umana, dunque, non è un tema di cui si può dire con certezza dove cominci e dove finisca, o dove si confonda con il biologico… Balaguer accoglie il consiglio che già nel 1439 dava Lorenzo Valla “di non perdere tempo nella discussione sul libero arbitrio“.
Personalmente non condivido la proposta di abbandonare la partita, credendo che la nostra capacità di cogliere noi stessi, la nostra capacità di empatia e di provare “sensi di colpa” per atti commessi, siano segni di un qualcosa che desidero continuare a chiamare “spirituale“.
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