il caffé sospeso
…gentile l’avventor che lascia a sconosciuti il caffè sospeso. Un’abitudine napoletana, che dice amabilmente di questa antica e bellissima cittade. Uno ordina un caffè e ne lascia uno pagato, per uno sconosciuto, che entrerà, non si sa quando.
E’ come un amo solidale lanciato nell’immensa miriade delle circostanze. Sembra che tutto sia periglio per le strade della gran Nuova Città degli Elleni, ma non è vero: lo è per la semplificazione delle gazzette, dei titoli urlati, della faciloneria, del banal dire di molti mestieranti e scribacchini intenti a farisaiche memorie e gesta eroiche (si fa per dir). Gente che vive di antiqualcosa, non di idee. Gente che sottolinea il male, le gomorre e le sodome, e quasi sembra goderne, dimenticando i giardini interiori della solidarietà segreta dei moltissimi. Sembra quasi che il peccato sia per i perdonatori di professione, per i puri, giudici delle azioni altrui.
Ma il peccato è un “mancare il bersaglio“, un’omissione alla propria umanità. Perché il caffè sospeso l’hanno inventato a Napoli, e non a Milano, e non per spirito folklorico, ma per umanità, discretamente tesa sotto il malaffare e tra i Bassi? “Come potere giudicar?” Cantava un antico gruppo musicale mezzo secolo fa. “Quando cambiate mestier?” parafraserei io nei confronti dei professionisti del compianto e della disperazione televisiota, saviani, fazi e ciotti? Restando gli iovine e i sandokan schiavone disumanamente umani, cui far pagare il giusto fio.
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