Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

le voci del sabato

 Manoscritto_VangeliCaro lettor del sabato,

come diceva il Maestro “(…) Il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato”  (Marco 2, 27).

Pertanto anche questo sabato è per l’uomo, per me che scrivo e leggo, per te che leggi e scrivi, anche se non ti conosco. Non so che scrivi, che pensi, che dici, che voce hai, che volto, dove abiti e dove cammini.

Io lo racconto qui talora. Oggi mi son liberato del lavoro: camminerò solitario lungo strade silenti, memore della fatica di ieri, memore delle voci scomparse, eppur presenti nella memoria. Le voci di ieri, quelle dell’aeroporto, quelle degli incontri, quelle sull’aereo, nutrite, confuse, insistenti, inevitabili, come una malattia manifesta.

Ieri c’era un uomo magro, con il mento prominente, la voce giovanil tenorile, di quelle che hanno frequenze insolite, che prevalgono sulle altre: dal take off in ritardo al landing in continuum, senza sosta, come una malattia.

La stanchezza mi aveva aperto i sensi e io la subivo, quella voce, insistente, ticchettante, fessa e festosa nello sesso tempo. Gli argomenti non contavano, era solo un flusso di suoni, fonemi, morfemi, sememi insensati al mio timpano.

Mi pareva che il tempo fosse d’un tratto scomparso in un eterno presente dove la voce, quella voce un po’ chioccia risuonava,  e il mio fastidio montava. Se il viaggio fosse durato più di un’ora mi sarei rivolto al viso scavato per chiedergli di voler cortesemente e pietosamente finirla.

Poi ci sono altre voci (o c’erano), quelle indistinte e fragili, i borbottii delle preghiere antiche, i rosari detti senza capir nulla, ma con fede, le litanie dei Santi e della Madonna con i titoli storpiati, non per maligna volontà, ma per ignoranza incolpevole. Ricordo.

Oggi le voci invece sono afone, a volte stridule, quasi sempre ignave, negli incroci tra umani, come in viaggio. Solo nei piccoli borghi o nei silenzi montani, recuperi suoni, dialettismi misteriosi e arcani, suoni, voci di una verità che si nasconde. Non nella metropolitana anomia, bensì al limitare dei boschi, come stamani sulla ripa verdissima del Tagliamento.

E infine ci sono le “voci di dentro”, ma non quelle dei pazzi deliranti che sentono gli ordini divini. Le voci di dentro sono quelle giuste: il ricordo di una mattina d’inverno con tua madre, la colazione e la Messa prima; la gita con tuo padre, verso lontanissima meta, Bibione in bicicletta e racconti di corridori antichi, come Bottecchia e Pellissier, Brunero e Binda, o Girardengo… “vai grande campione“.

Voci di racconti, anzi di rogazioni, anzi le rogazioni al mattino, di marzo, venticello ai crocicchi della grande campagna silenziosa: don Aurelio “A fulgure et tempestate (popolo) libera nos Domine, a peste fame et bello (popolo) libera nos Domine, a flagello terraemotus (popolo) libera nos Domine, ab insidiis diaboli (popolo ) libera nos Domine…” camminando camminando.

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