Le voci di dentro
in un bar a bere uno spritz, leggendo Pietro Citati su Kafka e Milena Jesenská, penso che gli incontri e gli ascolti delle persone sono alcune delle vie maestre della relazione interumana.
Più importanti delle parole che si dicono, del loro significato e del senso che produce un discorso, sono i suoni delle voci che dicono le parole.
Lì nel bar sento la banconiera parlottare con un avventore: una prima battuta qualsiasi, risposta dell’avventore, ultima parola della banconiera. Ciò che mi colpisce è il tono: tra l’esperto-saputo e il disponibile, un declivio di dedizione fasulla e falso-compassionevole, compiacimento di un sapere intrinseco autoreferenziale “Oeoh chiarooo“.
Dal lavandaio a secco: “Che cosa vuoooi, aah sì sì, tranquillo!” Divento una bestia quando uno mi dice “Tranquillo!”
Nell’agriturismo in mezzo alla campagna caminese, la serva: “Ehilà tu, aspetti qualcuno“, le rispondo “scusi, Lei parla con me?”, e lei “desidera qualcosaaaa? con il birignao sulla vocale “a” finale. La devastazione.
Passeggio, e davanti a me sei giovani, tre coppie, i “lui” con la cresta colorata, le “lei” con i jeans troppo stretti e la ciccia debordante. Lei guarda lui adorante che rutta, e ridono, ridono, ridono. Piango dentro.
Lavoro, e uno si vanta di essere un “dio”, mi astraggo, allontano lo spirito, rassegnato a condividere miseria. Por un tiempo.
Lavoro, e uno si compiace, mi astraggo, allontano lo spirito, rassegnato a condividere il clima, per un po’, ma non per molto. Ancora.
Lavoro, e sento cinguettare al telefono: “Ah, tornata dalle ferieee, ah ah ah, anch’io sono stata a prendere pioggia, ah ah ah“. Mi strangolo da solo.
Lavoro, e sento toni e timbri falso-cordiali-telefonici “mi chiedi se ti ho chiamato, no no no, anzi sì, scusami sono un po’ in oca“, mi confessa l’oca.
Tutte “voci di fuori”, nessuna “voce di dentro”, che ascolto quando si fa silenzio, e tacciono gli strepiti insulsi di un’evoluzione incompiuta.
Be patient. Ad maiorem Dei gloriam.
Post correlati
0 Comments