Quella forma leggiadra…
Cari ragazzi che forse qui indugiate,
“L’inizio di un verso di John Keats m’ispira/ lenti pensamenti come nastri al vento leggiero di settembre/ dico leggiero e pur così triste/ perché porta il canto sempre più fioco di chi è andato via,/ via come un turbine silente e inconsapevole.”
Scrivo di quei due ragazzi volati giù dal terrazzo a Milano, lui vent’anni e lei un anno di meno. “Se mi lasci muori con me, provando per qualche istante la tristezza infinita della fine.”
Da dove viene questa fragilità di foglia secca, sminuzzabile a un soffio, a scomparire presto dopo la folata del vento settembrino? Da dove questo immenso vuoto interiore? Quando ha cominciato ad allignare nel cuore di Alessandro la disperazione di vivere? La disperazione della salute è uno dei peccati imperdonabili dallo Spirito, dalla Coscienza cosmica di Dio stesso. Insieme alla presunzione di salvarsi senza merito. Disperazione e presunzione: peccati “mortali”: appunto.
Gli estremi di un’auto-considerazione di sé sbagliata. Lui scrive minuziosamente il suo progetto e lo attua; lei ingenuamente lo segue non capendo gli intendimenti di lui.
Vegetti Finzi scrive che questa fragilità è figlia dell’inabitudine alla sconfitta che il modello sociale prevalente impone. “Vincenti” bisogna essere, sempre. Guai a perdere, ad arrivare anche solo “secondi”. Invece la vita prevede vittorie e sconfitte, connaturate entrambe alla struttura esistenziale naturale della vita stessa.
E poi: se perdo, cioè se la ragazza mi lascia “sono uno sfigato” per i social, dove un perfetto sconosciuto mi può prendere per il culo. La relazione è diventata mera “trasmissione” di notizie e di commenti a caldo tra sconosciuti o poco conosciuti.
Mi fa specie la dizione “chiedere l’amicizia” sul social che sia: l’amicizia? Questa radicale dimensione dell’affettività umana? Questa autentica dimensione dell’amore umano? Ma via!
Questa non è amicizia, bensì “amicizia”, cioè logicamente una parvenza, un fantasma, un ologramma, una diminutio, un inganno, un pro-forma, una metafora triste, un impoverimento semantico, una devastazione logica, un mero falso d’autore.
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