Del vero e del falso
Sul vero e sul falso l’uomo si è interrogato da sempre (un “sempre” inteso con le pinze del buon senso e della documentazione disponibile sull’evoluzione cognitiva del primate umano).
Gli scolastici (Tommaso, Bonaventura, etc.) affermavano che la scienza stessa (intesa come epistème, cioè sapere strutturato concernente tutte le realtà naturali e umane) altro non è che una “conoscenza certa (oggettivamente) ed evidente (soggettivamente) in base al suo perché proprio, adeguato e prossimo“.
La verità è stata solitamente distinta dalla certezza come l’oggettivo dal soggettivo. Nella storia del pensiero occidentale la ricerca della verità è appartenuta alla filosofia come meta-sapere, almeno fino alla rivoluzione cartesiano-galileiana, che ne ha segnato una separazione sempre più netta dalle scienze sperimentali, improntate al try and error. La verità intesa come rappresentazione dell’essere-delle-cose è stata allora messa in discussione, dal cogito di Descartes (penso, dunque sono, e ciò che ne segue) e fino a Kant che ammette e dà plausibilità alla sola conoscenza della verità fenomenica: “il mondo e la realtà delle cose sono meramente ciò che mi appare, perché ciò che è in sé è inconoscibile” (noùmeno). Hegel ne propose poi una versione radicale con la fusione della realtà come verità di ciò che può venire pensato (soggettivismo idealista).
Nel secolo scorso pensatori come Theodor W. Adorno, su un versante più freudiano-marxiano (cf. in Minima Moralia) e Karl Popper hanno approfondito i tema della verità e della sua falsificazione, riprendendo l’antico asserto socratico del “sapere di non sapere”. Se Adorno, sulle tracce del pensiero ideal-marxiano e psicanalitico conservava una sorta di allure ottimistica circa le possibilità del soggetto di pensare la verità, Popper, neo-socratico faceva due affermazioni radicali: a) “Noi umani sappiamo una quantità di cose che ci consentono una profonda penetrazione teorica e una sorprendentemente elevata comprensione del mondo” e, di contro, dialetticamente, b) “la nostra ignoranza è illimitata e tale da toglierci ogni illusione“.
Che voleva dire? Più o meno ciò che anch’io (chi mi conosce lo sa) ripeto spesso: che la conoscenza e la ricerca della verità sono un’opera infinita (senza fine), poiché mentre conosco ciò che scopro della natura delle cose e dell’uomo stesso, colgo l’abisso di non conoscenza seguente, che appare progressivamente mentre conosco quel poco di accessibile della verità delle cose. Quanto e come posso sbagliarmi sempre! Come la realtà non è matematizzabile! Non posso mai dire che un essere umano è per il 20% negativo e per l’80% positivo, o viceversa, come qualcuno erroneamente pensa. Vi è sempre qualcosa o molto che sfugge, stando nel non-detto, nell’abilità dissimulatoria, nel progredire evolutivo delle cose. Ancora Popper “a ogni passo in avanti che facciamo, a ogni problema che risolviamo, non scopriamo solo problemi nuovi e insoluti, ma scopriamo che anche là dove pensavamo di trovarci su un terreno stabile e sicuro, in realtà tutto è incerto e precario“.
O, come dice il mio caro collega di Phronesis Stefano Zampieri da Venezia: “noi possiamo accedere intellettualmente solo a delle verità locali”.
La ricerca della verità -dunque- non ha mai fine. Se Adorno affermava che “il tutto è falso“, Popper potrebbe suggerire di sostituire il termine “falso” con “falsificabile“, per lasciare una traccia generosa all’evoluzione positiva del pensiero umano (lobi prefrontali, cf. in Steven Pinker).
Se invece ci accostiamo alla dimensione teologica cristiana (con una epistemologia completamente diversa), in Giovanni (Evangelo 14, 6) troviamo l’affermazione gesuana “Io sono la via, la verità e la vita“, per cui rinvio a un mio testo di prossima pubblicazione (L’eros come struttura ermeneutica per la comprensione del senso).
Ma, al di là di questo, accontentiamoci di comprendere umilmente l’infinita varietà delle cose, con la nostra mente limitata, e pur capace di gioire per la conoscenza e per la sua condivisione con i nostri simili attuali e con chi verrà dopo di noi, noi andati via.
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