Il valore della vita umana
Per parlare di questo argomento, dovremmo partire da lontano: dal valore della vita, e quindi della natura e del mondo universalmente conosciuto.
Non possiamo farlo, ma possiamo riconoscere un percorso lungo e complesso che ha portato l’uomo a dare un valore speciale agli organismi viventi, agli animali e, in modo diverso, a quell’animale autocosciente che è l’uomo stesso. I Libri delle grandi tradizioni religiose e filosofiche, sia orientali, sia occidentali, hanno raffigurato l’essere umano come vertice del “creato” o del mondo.
Progressivamente il valore della vita di quest’essere è assurto a importanza sempre più significativa. In occidente specialmente: sulle tracce della grande tradizione filosofica greca e del messaggio cristiano, il valore della vita umana è diventato un criterio rilevantissimo, sia sotto il profilo etico, sia sotto il profilo giuridico.
La sua tutela ha acquisito un ordine di priorità su ogni altro, anche se guerre, violenze degli uni sugli altri, omicidi e pratica della pena di morte sono tutt’ora presenti sullo scenario del mondo.
Lo studioso americano Steven Pinker, nel suo recente volume Il declino della violenza (Ed. Mondadori 2013), dopo un’accuratissima disamina statistica sulla storia della violenza, espone una tesi che può apparire sorprendente a noi che veniamo dal XX secolo, il secolo delle grandi guerre, delle stragi e dei genocidi, una tesi secondo la quale la violenza stessa sarebbe in declino, rispetto ad epoche passate, almeno in cifre relative di morti ammazzati con riferimento agli abitanti del pianeta.
D’altra parte, se noi italiani confrontiamo i dati relativi alle persone morte per a) incidenti stradali, b) sul lavoro e per c) omicidi volontari del 1980 con quelli del 2013 troviamo (forse per molti stranamente) un declino drastico, che vediamo qui di seguito: a) 12.000 vs. 3.500 (con 4 milioni di veicoli circolanti in più); b) 2.000 circa vs. 600 (con 2 milioni di lavoratori in più, nonostante la crisi), c) 2.000 circa vs. 550. Eppure, sembrerebbe il contrario: il fenomeno si può spiegare con la pervasività quasi omnipotente della mediatizzazione istantanea e successiva enfatizzazione (vedi i talk show ossessivamente ripetitivi sugli omicidi, sugli idiotamente cosiddetti “femminicidi”, il cui numero percentuale è sempre di un quarto sul numero complessivo, etc.) della notizia, che è cresciuta geometricamente negli ultimi trent’anni. Le persone meno avvedute, informate, o dotate di soglia critica più bassa, ritengono erroneamente che le cose siano proprio al contrario.
Vi è poi un fenomeno che interpella nel profondo la nozione, l’accezione, e perfino la cognizione del valore della vita umana, che è il terrorismo. Qui non intendo (non ci riuscirei) fare una disamina generale sul fenomeno del terrorismo (neppure come parafrasi di Wikipedia), perché uno fu il terrorismo dei circoncellioni cristiani dei primi secoli o degli ashasin musulmani del Medioevo, altro il terrorismo anarchico dell’Ottocento, o il terrorismo insito nell’azione dei GAP a via Rasella Roma nel 1944 (con la conseguenza delle Fosse Ardeatine), diverso ancora quello di Begin in Israele negli anni ’40 e ’50 del secolo scorso, e ancora differente quello dei movimenti rossi e neri degli ultimi quarant’anni. Da ultimo, di ulteriore tipologia è il terrorismo degli shahid musulmani e quest’ultimo dell’IS, di cui parleremo più sotto.
Vi sono stati terrorismi inseriti in abbastanza ampi movimenti di popolo (quello israeliano, o quello irlandese o basco, ad esempio, come braccia armate di forze politiche), e altri, come quello della Röte Armee Fraction o delle Brigate Rosse, sostanzialmente elitari e isolati dalle masse popolari, che si illudevano di rappresentare.
In queste tremende attività dell’uomo vi è però un comune denominatore: l’abbattimento o il misconoscimento del valore della vita del singolo essere umano, ridotto a mero simbolo, e reso anonimo dal fatto di essere diventato solo l’oggetto (reificazione della persona umana) di un messaggio che prescinde da ogni giudizio di valore del simbolo stesso (ricordo che il termine simbolo significa un qualcosa/ concetto che rinvia ad altro, legandoli strettamente).
E allora si spiegano (nel senso che si dà una crudelissima ragione) le decapitazioni mediatizzate di queste settimane in capo alla regione siriano-irakena e oggi anche all’Africa settentrionale.
Ho detto “si spiegano”, ma certamente non si com-prendono e tanto meno si giustificano.
In questi ultimi frangenti della storia sta accadendo qualcosa che interpella in modo affatto nuovo e profondamente, su diversi piani di analisi: quello antropologico, quello socio-culturale, quello etico, quello politico, quello economico e quello militare. I fatti legati alla guerra interetnica, interreligiosa, economica e militare in corso nel Vicino Oriente (non nel Medio Oriente come dicono i mass media).
A fronte dei fatti evidenziati dalle tragiche notizie quotidiane bisogna fare qualcosa e qualcosa si sta facendo, di fortemente orientato sul piano militare. Si risponde in modo tradizionale a una guerra asimmetrica spiazzante e dolorosa, nei suoi risvolti umani.
Ma si deve fare di più, molto di più: lì sono venuti al pettine nodi irrisolti del secolo scorso, legati al colonialismo (si vedano i confini geometrici tracciati dagli Inglesi per l’Irak), nodi impliciti all’Islam stesso (sunnismo, sciismo) e retaggi del recente passato di regimi autoritari laici legati al baathismo e così via, spazzati via dalle ormai tragiche “primavere”.
La reazione militare è legittima e opportuna, ma non basta: guai infatti a generalizzare in una condanna indiscriminata una storia (quella dell’Islam) di 1400 anni, una storia piena di pagine luminosissime di umanità e cultura, un miliardo e passa di esseri umani, che spesso sono vittime degli stessi satrapi del petrolio o del kalashnikov, molte buone o ottime intenzioni di molti, in quel mondo.
Il punto del dialogo concentra l’attenzione su tutte le dimensioni e cause originanti il conflitto. Se l’antico detto latino primum vivere, deinde philosophari è ancora valido, all’opzione militare ferma e vittoriosa, deve seguire il philosophari sulla vita umana, sulle risorse disponibili e su come distribuirle con giustizia sulla nostra piccola e bellissima Terra.
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