Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

Una casa a forma di casa, l’erba e un po’ di vento tra le fronde, infine

una casaCari Pietro e Luigia,

vi chiamo per nome, ma siete il mio papà e la mia mamma. A chi se non a voi posso dire che -forse- dopo trent’anni torno a casa. Sono stato a lungo in un paese lontano, come il figliol prodigo dell’evangelista Luca, un paese lontano che era un appartamento al secondo piano di un condominio strano. Parallelepipedo con colonne, “Ville sospese” hanno avuto il coraggio di chiamarlo.

Negli interstizi del tempo sono stato anche via più lontano, in altri tre luoghi solitari e angusti, di cui uno di più.

Ora una casa a forma di casa, come quella che disegnano i bambini delle elementari, bianca, a due piani, con il cancello di ferro e l’erba da calpestare, mi aspetta. Un larice e altri alberi di cui conoscerò il nome.

Una casa a forma di casa, con un terrazzo dove leggere in pace, uno spazio per i libri e per il silenzio.

Una casa che dà su altri cortili, non in campagna e non nel centro, dove si arriva per una via senza uscita, senza traffico.

Una casa a forma di casa, costruita per bene cinquanta anni fa, con gli spazi delle nostre abitazioni dignitose e tranquille.

Una casa, finalmente, dove il vento tra le fronde ti ricorda la stagione che viene, e il picchiettare della pioggia.

Una casa che può anche accogliere la neve tutt’intorno, sogno di svegliarmi un mattino con la neve e restare incantato al silenzio del mondo.

Non faccio pronostici, non so quanto la vita che vivo sarà lunga, nulla so, mi basta sapere che, almeno per un po’, una casa a forma di casa sarà lì, anche per me, dove potrò spegnere la luce e ricordare la casa che ho visto da bambino in un altro paese più a sud, dove anche tu Pietro tornavi, e tu Luigia ti affaccendavi, la casa che dava sull’orto profondo, e il canale dove galleggiavano i ragnetti d’acqua, e trovavo le chioccioline sulla muraglia, e cercavo la gatta, e nominavo gli ortaggi. Bambino curioso del piccolo mondo cui si era schiusa la mia vita, al suo inizio.

Sembra un rapido sogno, un rapido voltolarsi del tempo come foglie d’autunno cadute, folate di freddo sotto il portone della casa di un tempo.

Quel tempo, il mio tempo, di cui sono geloso custode, che non interessa a nessuno.

Ora devo adattarmi alla quotidiana battaglia, che mi offre scenari diversi, incontri e dialoghi, comunicazioni buone e comunicazioni insensate cui devo dare senso, persone che vedo più volte alla settimana e che, se sparissero alla vista, non mi mancherebbero, al contrario!

Non mi mancherebbero, come invece mi è mancata la casa, per trent’anni. Se Dio vuole, in questa mia età che non so se dire matura o di più, o se lasciare senza aggettivi, la casa mi è venuta incontro, come un pensiero nascosto e taciuto, intimo e privato, cui finalmente si è data luce.

Una casa a forma di casa mi aspetta. Chissà, forse da lì potrò dire (o far scrivere un giorno) “E ora qui vi saluto/ torno alla mia casa, ai miei sogni./ Non pensate a me/ pensiamo insieme a tutta la terra.”

 

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