Evidenze di noiosa ovvietà
Se vi è uno stato dello spirito che aborro, che combatto e che, se riesco a farlo, evito, è lo stato di noia. Ringrazio Dio che in tutta la mia vita sono riuscito, finora, a tenere lontana da me questa greve malattia dell’anima, mediante una variazione continua, una ricerca diuturna, un impegno faticoso e piacevole.
Vi sono nicchie ambientali e antropologiche dove la noia imperversa, condita di ovvietà perniciose, stereotipate e stupidamente ripetitive.
Uno di questi lugubri anfratti è la politica, dove si incistano spesso e ovunque (duole dirlo) personaggi a guisa di parassiti delle piante, figure sbiadite e gregarie, ansiose di mostrarsi più realiste dei re che le pagano e delle convenienze cui afferiscono.
Potrei fare un elenco dovizioso di nomi, di professionisti dell’ovvio a diecimila euro al mese, politici di lungo corso il cui verbo è talmente risaputo da poter prevedere quasi ogni parola prossima di un discorso appena iniziato. Questi parlano come libri stampati, mai un refuso morfologico, mai un ripensamento, sempre, invece, un continuo dai e dai di luoghi comuni, di perbenismo affettato “mi sia consentito il dire signora contessa”, oppure di manicheismo un tanto al chilo tipo “quel partito ha a cuore solo i voti, non gli interessi del “paese” (sic!)”, mentre invece il suo, di partito, è lì gratuitamente solo per gli interessi del “paese” (e ridàie).
Non mi affatico in lunghe elencazioni di noiosi ben pagati e professionisti dell’ovvio, ne cito quattro, solo a titolo esemplificativo: Casini, di lunghissimo corso, e Capezzone, emerito voltagabbana di mestiere. E i campioni dell’ovvio (dal latino ob viam, per strada, e quindi quasi per caso) dem Civati e Fassina. Caro lettore, non dirmi che anche tu non sai, prima che continuino a parlare, ciò che stanno per dire questi quattro signori! Non ti crederei.
Ma stamani, ascoltando in viaggio una delle rassegne stampa radiofoniche, sono incappato in un altro campione dell’ovvio e della noia, anzi in una campionessa dallo sguardo severo e contrito come quello di una badessa benedettina renana del ‘300. Sento di un’intervista del Corriere alla presidenta camerale Boldrini.
Qualche chicca, senza esagerare: costei afferma a un certo punto “La politica deve ritornare centrale”, sì, come Pirlo, ho pensato subito. Ma che stupidaggine è “tornare centrale”? Ancora: “Bisogna alzare la soglia per avere candidati eletti oltre l’8%, altrimenti due milioni di italiani sarebbero esclusi dalla democrazia”. Mio nonno! Allora stiamo ancora peggio di quando uno PSDI qualsiasi del prode Tanassi poteva bloccare Moro e Nenni.
Avanti: “L’articolo 18 è un falso problema, perché bisogna creare posti di lavoro in un modello di sviluppo alternativo”. Che? Quale? Viene lei, oh presidenta compunta, a dirlo agli imprenditori che si dannano l’anima per lavorare contro un apparato burocratico sordo, cieco e maligno (talora), che lei difende?
Poi cita Rifkin, perché “fa molto figo”, ne avrà letto qualche pagina?
L’ultima è una perla: “Bisogna mettere in atto il cambiamento”. Bum.
E pensare che per quattrodici anni ha fatto la “portavoce dell’alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati”, urca, un ruolo eccelso e soprattutto comprensibile.
La noia è legata al`esperienza dell`ovvio, alla mancanza di stimoli, di interessi, come in Oblomov, il celebre personaggio di Gonciarov, spiega Remo Bodei.
Ectoplasmi, ologrammi, evidenze di noiosa ovvietà. Ma basta, dai, vai a casa!
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