Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

Rehyaneh Jabbari

Rehyaneh JabbariSi era solo difesa da uno stupro e aveva ucciso (forse) l’assalitore. Perfino le fonti della filosofia del diritto penale medievali, prevedono che chi, assalito,  si difende, possa anche uccidere l’assalitore (cf. Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae,  II-II, q. 64, a. 7), per salvaguardare la propria vita o integrità fisica.

Nella modernità ciò è reso legittimo dai codici penali di quasi tutti gli stati del mondo. In Iran no, nella nobile antica Persia, no. Neppure sotto il presidente Rohani, meno bigotto del suo predecessore.

Ieri mattina, in una prigione di Teheran, è stata impiccata una ragazza di ventisei anni, nata nel 1988, poteva essere mia figlia, tua figlia, tua sorella, caro lettore. Solo perché non ha cambiato la versione dei fatti, la famiglia del suo assalitore morto non l’ha “perdonata”, e dunque la condanna è stata eseguita. Pare che lo sgabello che la sosteneva, lei già con la corda al collo, sia stato tolto dal figlio del suo assalitore morto. Un’impiccagione western (mi si passi la tristissima ironia) in una nazione che desidera rientrare nel consorzio del grandi interlocutori politici mondiali.

Rehyaneh Jabbari non c’è più, mentre i suoi giudici ed esecutori sono convinti di aver fatto giustizia, dopo un processo viziato da irregolarità secondo quanto denunciato da Amnesty International, ma è il contrario: essi hanno operato un arretramento nella crescita umana, un raccapricciante atto di vendetta insensata e crudele.

Quasi in coincidenza con le riflessioni di papa Francesco, che ha chiamato in causa gli stati e i governi delle nazioni del mondo sul carcere, sulla tortura, sulla pena di morte e sull’ergastolo, perché ancora in molti luoghi, Italia compresa, non c’è rispetto per i diritti di chi comunque, anche se colpevole di delitti, resta un essere umano.

Condizioni disumane e degradanti, torture dirette e indirette, pena di morte con esecuzione o differita (ergastolo) ancora sussistono, in un mondo a più velocità, a diverse sensibilità, con differenti modi di pensare il valore della vita. Chi commette reati e crimini deve pagare con pene certe e proporzionate, ma nella prospettiva di una possibilità di redenzione individuale (cf. Art. 27 della Costituzione della Repubblica Italiana), atto di speranza per chi, a volte disperando della propria vita, ha dato dolore ad altre vite. Non si tratta di perdonismo buonista, ma di un ragionamento lucido sull’imperfezione e difettosità dell’essere umano, e sulla necessità di lavorare per la sua crescita in umiltà, consapevolezza e responsabilità.

Magari la morte di Rehyaneh possa aiutarci a pensare anche a questo. Pace alla povera ragazza e silenzio nei nostri cuori.

 

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