Credere non credere
Sento di una polemica tra il professor Umberto Veronesi e altri sui giornali, e ne cerco tracce sul web. Trovo questa sua pacata e dignitosa dichiarazione:
“Allo stesso modo di Auschwitz, per me il cancro è diventato una prova della non esistenza di Dio“, dice Veronesi. “Come puoi credere nella Provvidenza o nell’amore divino quando vedi un bambino invaso da cellule maligne che lo consumano giorno dopo giorno davanti ai tuoi occhi? Ci sono parole in qualche libro sacro del mondo, ci sono verità rivelate, che possano lenire il dolore dei suoi genitori? Io credo di no, e preferisco il silenzio, o il sussurro del «non so». Perché accade — e per i bambini oggi succede sempre più spesso — che il dubbio diventi concreta speranza e poi guarigione, e quando questo avviene, è pura gioia”.
Leggo poi più o meno affannose contestazioni da parte di giornalisti come Giordano, Gennari e altri che, quasi novelli Tommaso d’Aquino, che si misurò con le cinque prove dell’esistenza di Dio (moto, causalità efficiente, contingenza-necessità, gradi dell’essere, finalismo), o Sant’Anselmo d’Aosta, capace della sua sublime mostrazione metafisica “Deus est id quo maius cogitari nequit” (Proslogion), Dio è ciò di cui nulla di più grande si può pensare.
Sia Tommaso sia Anselmo, menti probabilmente più dotate dei sopracitati giornalisti, avevano bene presente il limite razionale del loro tentativo di individuare prove inconfutabili dell’esistenza di Dio, sapendo che di ben altra natura è l’atto di fede, come fiduciosa adesione intellettuale e del cuore.
Se vi è una debolezza nel ragionamento di Veronesi, che comunque, dopo avere affermato che il “grande male”, come la Shoah o il cancro, specie quando colpiscono degli innocenti, è “prova dell’inesistenza di Dio”, alla fine dice di “preferire il silenzio o il sussurro del non so”, è quella di pensare che si possa cercare una prova assolutamente convincente solo su basi conoscitive e logico-argomentative, e che questa sia inficiata radicalmente dalla presenza del male nel mondo. Certamente, se l’esistenza di Dio è razionalmente plausibile, ciò non significa che si possa riuscire a dimostrarlo indefettibilmente come si dimostra la correttezza e la “verità” del teorema di Pitagora.
Un altro elemento di debolezza nel suo ragionamento, che è figlio involontario della dottrina medievale della “retribuzione” proporzionata per il male commesso, è quello che si riferisce all’incomprensibilità del male degli innocenti: ebbene, il male non è retributivo, perché se così fosse, i crudeli, gli assassini, i perfidi, i “cattivi” dovrebbero essere puniti in proporzione al male fatto, ma non è così.
Se sta in piedi il ragionamento, specularmente non è neanche ammissibile poter dimostrare l’inesistenza di Dio, perché non vi è una retribuzione per il male fatto, per cui sul piano della pura ragione intellettuale non si può né dimostrare l’esistenza, né l’inesistenza di Dio.
Interessante, invece, il ricordo di Veronesi per don Giovanni, un suo amico prete, che gli chiese di evitargli inutili sofferenze, da malato di cancro, dicendogli che vi può essere anche una “carità senza fede”.
San Paolo nella Prima Lettera ai Corinzi (13, 1-13) scrive:
“Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli,/ ma non avessi la carità,/ sarei un bronzo risonante o un cembalo squillante.
Se avessi il dono della profezia/ e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza/ e avessi tutta la fede in modo da spostare le montagne,/ ma non avessi la carità,/ non sarei nulla.
Se distribuissi tutti i miei beni per nutrire i poveri,/ se dessi il mio corpo per essere arso,/ e non avessi la carità,/ non mi gioverebbe a nulla.
La carità è paziente,/ è benigna la carità;/ la carità non invidia, non si vanta,/ non si gonfia, non manca di rispetto,/ non cerca il proprio interesse, non si adira,/ non tiene conto del male ricevuto,
ma si compiace della verità;/ tutto tollera, tutto crede,
tutto spera, tutto sopporta.
La carità non verrà mai meno./ Le profezie scompariranno;/ il dono delle lingue cesserà, la scienza svanirà;/ conosciamo infatti imperfettamente,
e imperfettamente profetizziamo;/ ma quando verrà la perfezione, sparirà ciò che è imperfetto.
Quando ero bambino, parlavo da bambino,/ pensavo da bambino, ragionavo da bambino./ Da quando sono diventato uomo,
ho smesso le cose da bambino.
Adesso vediamo come in uno specchio, in modo oscuro;/ ma allora vedremo faccia a faccia./ Ora conosco in parte, ma allora conoscerò perfettamente,/ come perfettamente sono conosciuto.
Ora esistono queste tre cose: la fede, la speranza e la carità;/ ma la più grande di esse è la carità.”
E’ una lettura buona, per me, per te caro lettore, e anche per il professor Veronesi.
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