La morte e la vita
Otto piccoli uccisi a in Australia… una mamma arrestata, perché sospettata, sette erano suoi. Bambini e ragazzi da diciotto mesi a quindici anni di età, A coltellate. Racconta il web “…in una casa del quartiere povero di Manoora a Cairns, centro turistico sulla costa nordest dell’Australia e snodo dei turisti diretti alla Grande Barriera Corallina.” Ferita e piantonata in ospedale. Un altro colpo allo stomaco per chi legge ed è informato, in una sequela quotidiana di notizie, che si auspica sempre finisca, e invece non finisce mai.
Osservo sempre, dialogando, che l’uomo non dovrebbe mai (eccolo!)pronunziare gli avverbi “sempre” e “mai”, perché non può dominarli, nel suo tempo finito: avverbi “divini”, mi vien di chiamarli. Ebbene, che altro si può dire del “male”, se non che è qui e ora, inestirpabile, sotto il profilo della sua radicalità, ineliminabile, sotto il profilo razionale, costitutivo dell’ambiguità dell’umano, scimmia intelligente, sotto il profilo di un’etica possibile.
Un’altra donna… e “un bimbo che nasce dal ventre della madre morta clinicamente da due mesi“. Questo accade due giorni fa al San Raffaele di Milano. Per nove settimane in morte clinica per un’emorragia cerebrale, è stata incubatrice biologica, non-cosciente, dell’esserino sviluppatosi nel suo ventre. Nato il piccolo, prematuro di un mese, ma sano, un chilo e ottocento, sono state staccate le macchine e donati gli organi.
I Nomadi cantavano quarantacinque anni fa “Per fare un uomo ci voglion vent’anni,/ per farlo vero non basta una vita./ Per fare un bimbo un’ora d’amore,/…La morte e la vita rimangono uguali.”
Ecco, nel caso di Milano una morte per una vita, la vita che vince la morte, il bimbo sopravvissuto alla madre. Il miracolo, che è solo una cosa meravigliosa, accade se si crede e se si opera con l’intelligenza di cui siamo provvisti.
In Australia, e ovunque la morte e la vita, intersecate, avvinghiate in un combattimento senza fine, dove consapevolezza e ignoranza, grandezza morale e disperazione sono in campo sulla sterminata prateria della vita.
Di fronte alla dis-grazia, che è una mancanza di grazia, non facciamo discorsi od omelie (questo lo dico ai predicatori di tutti gli altari del mondo, religiosi e civili, siano essi vescovi, imam o presidenti della repubblica), contenenti dichiarazioni od auspici come “mai più”, ché non si dà proprio il “mai più”. Non consoliamoci con ciò che è falso, mentendo a noi stessi sapendo di mentire.
Lo squilibrio emotivo, l’ingiustizia, la follia, la crudeltà e il cinismo ci accompagnano, ma anche la nobiltà d’animo, la responsabilità, l’empatia solidale, l’amore.
Per Emmanuel Lévinas l’uomo è consapevole ex-sistens, cioè più che un esser-ci, un essere[stare]-fuori-di-sé, per comprendere l’altro-da-sé-come-volto, non come pura identità-altra. Anche la filiazione è un rapporto irriducibile con l’altro, che è figlio come un altro-se-stesso. Non si tratta di avere un figlio che si dà come oggetto, ma di essere il proprio figlio, non essendolo.
Altro dirti non vo’, (chioserebbe il conte Giacomo da Recanati), se non di pensare l’altro come un te-stesso (Gesù di Nazaret).
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