L’ignoranza mediatica
…è diffusa, basti pensare alla comunicazione sull’islam. Provo a riassumere rispettosamente alcuni concetti che nella vulgata mediatica, vista l’ignoranza degli scribi odierni, con alcune onorevoli eccezioni che citerò più avanti, di solito non si trovano.
Islam significa “abbandono/abbandonarsi a Dio”.
Conosciamo le origini storico-teologiche di questa grande dottrina religiosa che interessa più di un miliardo di persone.
Essa sorge in un ambiente molto duro e ostile, il deserto, e tiene conto della concretezza necessaria per una vita capace di svolgersi in quelle condizioni estreme.
L’Islam non possiede -nel suo estrinsecarsi teoretico- le sottigliezze del rabbinismo talmudico o della teologia cristiana. Praticità e rifiuto delle astrazioni ne sono caratteristiche fondanti.
Se il Corano è la parola stessa di Dio, l’uomo è stato creato da Dio e ha una consistenza che è fatta di sperma, di polvere e di terra [Cor 80, 17-22; 15, 28ss e 71,17]. L’embrione fu fatto di queste cose, per diventare uomo, essere destinato a morire e a essere resuscitato nel Giorno del Giudizio [Cor 91, 7-10; 21, 35], che vedrà coinvolto Gesù stesso (Isshà).
Non vi è nell’anima dell’uomo il peccato, ma in lui Dio pone sia malizia sia pietà, per metterlo alla prova.
Il muslim, l’abbandonato a Dio, è dunque teomorfico, ha forma divina, perché Dio agisce in lui, anche indipendentemente dalla sua propria volontà.
Nella “via media” dell’Islam proposta da Al Gazali [XI/XII secolo d. C.], accettata dal sunnismo e in parte dalla linea sciita, più dogmatica, ritiene che Dio sia anche l’autore vero delle azioni umane, che però ricadono nella responsabilità soggettiva, perché comunque partecipate a livello razionale e del sentimento religioso.
Si può dire che il Corano, cioè la Parola di Dio, in qualche modo simile, anche se non corrispondente, al Verbum cristiano, e cioè a Cristo stesso, mentre viene recitata dal fedele, lo trasforma rendendolo simile a Dio-Allah, che pure è e resta incomparabilmente distante e inaccessibile.
La recitazione del Corano è un atto sacro, e anche qui potremmo trovare una se pur lontana analogia con il sacramento eucaristico cristiano, un entrare diretto in comunione con Dio.
“Se anche si riunissero tutti gli uomini e i jinn per produrre qualcosa di simile a questo Corano non ci riuscirebbero, quand’anche si aiutassero gli uni con gli altri” [Cor 17, 88-89].
Questa è l’enfasi con la quale il musulmano descrive il “suo” libro, che è il Libro stesso di Dio.
L’uomo “coranico” è dunque convinto che il Libro sia come o più della sua sposa, e ivi si immerge e cerca di somigliargli, recitando le sure e le formule, fino a subirne l’effetto mistico, e perfino magico-sacrale.
l mondo nel quale nasce l’Islam è un mondo fatto di silenzi e di grandi distanze, nel quale è importante ciò che si ode, l’ascolto, il “detto”.
Gli adepti dell’Islam sono persone concrete e amanti dei fatti, mentre si spostano con le loro carovane lungo i sentieri del deserto.
La vicenda ha origine nell’ambiente aspro della penisola arabica attorno ai primi del VII secolo d. C.. Mohamed è un carovaniere come tanti, ma è anche un uomo molto religioso e mistico …
Il credo musulmano si forma in pochi decenni, costola robusta della tradizione monoteista già presente e operante tutto intorno: gli ebrei sono presenti a Mecca e a Yathrib, o Medina; cristiane sono popolazioni che vivono a nord e a sud dell’Arabia: lo sono gli etiopici e gli abitanti dei regni bizantini; sono cristiani i monaci itineranti del deserto, sono monofisiti, nestoriani, ebioniti …
Certamente Mohamed incontra alcuni di questi, certamente discute con loro dell’unico “Dio”, che egli chiama Allah, ma che “assomiglia” in modo vigoroso al Dio dell’Antico Testamento, Yahwe, Il Signore.
Mohamed discute forse anche di “cristologia” dissentendo sulla natura divina di Gesù, già evidenziata e sancita dal “credo di Calcedonia” del 451. Per Mohamed la natura di Gesù non è α̕τρέπτος, α̕διαι̃ρητος, α̕χορίστος, α̕συγγχύτος, cioè non è duplice, ma indivisa, indistinta e di due generi, l’umano e il divino, perché Gesù è “solo” il più grande dei profeti, nabijm, prima della venuta e dell’annuncio di Gabriele a Mohamed. La rivelazione della Parola è in corso.
Il “Qur’an” ora parla.
Il Corano, che è la “proclamazione” della Volontà e della Verità di Dio, parla dicendo quello che i fedeli devono fare per essere tali.
La fede nel Corano è il rispetto della Shahada, professione del monoteismo di Dio, unica possibilità di salvazione dell’anima. Essa non è basata sui desideri dell’uomo, ma solo sulla Parola di Dio stesso. La Sharia ne costituisce l’applicazione politico-legale.
Ma l’uomo, per l’Islam che cos’è?
E dunque l’uomo è innanzitutto un “essere intelligente che crede in Dio”, un fedele… anzi, in lui vi è una specie di teomorfismo, una divinizzazione progressiva… mentre recita: La ilahailla Allah, wa Muhamad dam rasul Allah, cioè “non c’è dio se non il Dio e Mohammed è il suo profeta”. E poi Allah u akbar, “Dio è il più grande”, e infine, Insha Allah, “se Dio vuole”, come affidamento totale nelle mani di Dio stesso di ogni momento della vita umana e delle sorti del mondo.
Il fedele deve dunque sottomettersi alla legge di Dio che è nel Corano, dove minuziosamente sono ordinate le azioni da compiere e quelle da evitare, a partire dai cinque obblighi fondamentali: a) la professione di fede, b) la preghiera, c) l’elemosina, d) il pellegrinaggio a La Mecca, e) il digiuno nel mese di Ramadan.
Nel mondo dei sufi, i mistici sottolineano particolarmente la meditazione e il digiuno, atti ad un’elevazione più adatta all’incontro con Dio.
L’Islam storico non si suddivide solamente nelle due grandi tradizioni del sunnismo e dello sciismo, ma comprende molte altre declinazioni e scuole teologiche: basti qui dire che vi sono sfumature innumerevoli tra una visione assolutamente dogmatica e letteralista del rispetto del Corano, e visioni che si distaccano dall’interpretazione letterale [ad es. nella linea as’arita], accogliendo molti testi come metafore o allegorie, diminuendo di molto il tema della predestinazione del destino delle anime e attribuendo molto valore alle scelte personali e all’esercizio della volontà individuale, che è relativamente libera [ad es. nella linea mu’tazilita]. Anche se tendenzialmente l’islam si manifesta come credo egemonico, ancora confondendo la dimensione religiosa con quella politica.
Il risveglio attuale dell’Islam pone a noi occidentali un’esigenza di conoscenza per un confronto non banale sotto il profilo intellettuale, e produttivo sotto quello delle relazioni e della politica, in una società, la nostra, fortemente secolarizzata e con basse idealità.
Ne parla con cognizione di causa Renzo Guolo, sociologo delle religioni, docente a Padova.
Egli sostiene che oggi dire “islam” è generico e riduttivo, anche perché esso si declina, oggi più che mai nella storia, in molti modi: non solo nelle dottrine e suddivisioni classiche (ad es. sunnismo e sciismo) presenti nei territori tradizionali del Vicino oriente, dell’Africa centro-settentrionale e del sud-est asiatico, ma anche sotto profili socio-culturali diversi. Se non si ha presente questo scenario, si rischia di parlare solo del fondamentalismo paranoide e reazionario, che si esprime con guerre asimmetriche, attentati e omicidi-eccidi insensati. Non cito neanche i soggetti sottintesi, perché troppo noti.
Va invece osservato, scrive Guolo (Relazione I.R.S.E. 2002, sempre attualissima) come sia necessario distinguere tra islam religioso e islam sociologico, proprio per comprendere meglio ciò che accade nell’immigrazione di popolazioni afferenti a quel credo, anche in Italia. Immigrazione che avviene come un’onda irrefrenabile da situazioni e condizioni a volte tremende, movimento che, come la Storia attesta, si configura come una marea.
Queste persone si trovano in una condizione di doppia assenza, fuori dalla società di provenienza e fuori da quella di accoglienza, a volte, magari, anche con lodevoli eccezioni, e quindi cercano condizioni di ricostruzione di una propria identità. L’Europa e l’Italia finora non sono riuscite a predisporre una politica condivisa, adeguata e rispettosa dell’umanità, ma anche della propria storia, legislazione e tradizioni.
Qui si oscilla tra la segregazione di quella gente e il toglimento dei crocifissi dalle scuole, perché “offenderebbero” altre sensibilità religiose. Ci si barcamena tra due estremi, entrambi idioti, il razzismo isterico dei Borghezio e l’insopportabile “politicamente corretto” delle Boldrini di turno.
Ai rivolgimenti epocali di carattere economico e all’iniqua distribuzione dei beni nel mondo, negli ultimi vent’anni si sono aggiunti terrificanti errori di valutazione politica connessi con un cinismo incommensurabile da parte di grandi “paesi” dell’occidente (USA e Gran Bretagna in primis), che hanno messo in moto in modo truffaldino (ah Blair, mi vergogno che tu sia stato socialista, per le troppe menzogne dette in modo sorridente, e vergognati anche tu!) sanguinosissime guerre, prodromo, tra altri, del tremendo garbuglio attuale, nel quale sembra che alcune migliaia di fanatici con i pick up possano tenere in scacco aeronautiche militari e mezzi blindati tra i più potenti del mondo. Balle sesquipedali! Si vede che a molti, di qua e di là, conviene così: che si scannino tra di loro (i musulmani) e così via. Un cinismo atroce.
Che fare? Siccome l’intelligenza ci dovrebbe aiutare a distinguere, a non fare di ogni erba un fascio, si dovrebbe chiarire bene con gli stati islamici che cosa intendono fare con il fondamentalismo e agire di conseguenza, perché la follia fa fermata; dall’altra parte, qui da noi, in Italia e in Europa, chiarire bene che società vogliamo, che democrazie intendiamo sviluppare, che criteri di partecipazione vogliamo proporre, nel rispetto delle nostre modalità di vita e delle diversità culturali altrui.
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