Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

fermarsi un po’

visioCaro lettore,

per la prima volta nella vita paziente ospedaliero, nulla di che, solo un non poco doloroso intervento alla mano destra, un giorno e mezzo di degenza, una notte semi insonne per il dolore, il letto troppo piccolo e i rumori degli altri umani nei corridoi e nella penombra.

Come una grande città l’ospedale respira, ansima, si lamenta e vive la sua vita normale, di lavoro, aspettative, stanchezza, routine, sublime tecnicalità, scienza e dubbi, ipotesi, cura, antidolorifici, lezioncine ex cathedra di infermiere esperte, gentili compagni di stanza (ciao Giancarlo da Vittorio Veneto), digiuni, fleboclisi, servizi in corridoio, letti semoventi di chi va e chi torna dalle sale operatorie. Io stesso, scarrozzato, preso in carico con professionale precisione, anestetizzato al plesso ascellare, operato per quella che poeticamente nel Nord Europa chiamano Vyking Syndrome, storico lascito etno-genetico longobardo (grazie dottor Matteo).

La mia sorpresa è quella di dovere, se non fermarmi, rallentare, fare meno cose, handicappato come sono alla mano destra. La sinistra è molto efficiente, ma i limiti sono lì a ricordarmi il mio, in generale. Anche Aristotele suggeriva di fermarsi, a un certo punto, anànke stènai. E, quando inizio a lamentarmi per la noia più che per il dolore fisico, allora mi viene in mente chi non può muoversi normalmente da sempre, anche persone a me molto vicine, che riescono a gioire in una vita passata anche oltre il mio limite di pochi giorni.

E mi vergogno un po’. Vedi, caro lettore, scrivo con la sinistra, più lentamente, e sono costretto (costretto?) a meditare… ma non è un pezzo del mio mestiere riflettere, meditare? Sì, ma ora è diverso, stando in un nuovo limite. Aveva ragione Jaspers, ogni situazione diversa segna un nuovo limite (grenz Situazion), un nuovo confine entro cui stare e con cui fare i conti. La sapienza della vita si alimenta delle situazioni limite, anche del mio piccolo limite attuale.

A me sta insegnando un criterio di scelta: non posso fare tutto quello che mi prefiggo, nei tempi a volte un po’ presuntuosamente decisi “perché ce la faccio sempre, ce la posso fare ancora”. Non è così: la natura e il tempo sono più forti, la volontà si deve piegare, la mente deve accettare… questo rallentamento, che ri-definisce il tempo stesso, interiorizzandolo (noli foras ire, in teipsum redi, quia in interiore homine habitat veritas).

E allora benediciamo anche questo dolore.

 

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