L’ars rethorica
bisognerebbe insegnare la Retorica alle superiori (e senz’altro nei licei), proprio in questa fase storica nella quale il pensiero argomentante sta conoscendo una crisi tra le più profonde.
Il giovane Aristotele la sviluppò quando ancora stava all’Accademia, alla scuola di Platone, che insegnava come fosse corretto ragionare mettendo in ordine i pensieri, dialettizzando i concetti nella relazione con l’altro, alla ricerca della verità.
Viene pubblicata in questi giorni un’eccellente edizione del lavoro aristotelico, presso Carocci di Roma, per la traduzione di Silvia Gastaldi.
Quale può essere il valore del trattato dello Stagirita di questi tempi? La domanda è retorica, ma non nel senso del tema che sto proponendo. E’ un valore grande, perché nell’ultimo periodo si è quasi perduto il gusto e scordato il tempo per usare la logica argomentativa nel linguaggio corrente, che si è frammentato, scoordinato, impoverito, a volte disintegrato nella veloce avvolgente e a volte ammorbante torsione comunicativa presente nello spazio dei rapporti interumani. La tecnologia sta debordando in spazi solo pochi decenni fa appannaggio della parola scambiata tra gli esseri umani.
Certo è che la retorica, come arte del logico e bel dire (il syllogizesthai), come strumento persuasivo, deve avere dei fondamenti morali, sostiene Aristotele, rispondente all’éthos tou legòntos, ai costumi morali di chi parla, e alla sua aretè, la virtù come principio morale, laddove l’uomo non viene mai ingannato dai discorsi altrui.
La tecnica comunicativa suggerita dal filosofo, la sua theoria e la sua tekne, non sono mai sovrapposte ai contenuti, ma si collocano in funzione ausiliaria per un fine superiore, quello di formare le persone, e soprattutto i giovani, all’esercizio del dibattito democratico: è una specie di pedagogia, anzi di andragogia della verità, che si conquista con la fatica e la pazienza dell’argomentazione, in un equilibrato intreccio emotivo.
Platone e Aristotele avevano a cuore di combattere certi vizi del loro tempo (analoghi a quelli del nostro), che i politici più cinici utilizzavano senza alcuna remora morale, imparando dai sofisti come argomentare i loro discorsi non tanto per cercare la verità, ma per raggiungere i loro scopi di potere. Platone li chiamava filodossi, non filosofi, perché questi non avevano altro interesse che far valere la propria opinione (doxa), a qualsiasi costo.
La retorica è lo strumento per combattere l’arroganza di un potere che si fonda solo su essa, e non sull’unica ragione e fine razionale e moralmente rilevanti: quelli della ricerca della verità e del bene comune.
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