Il viaggio dell’anima
Regalo di Bea per il mio compleanno il libro sopra intitolato (a cura di Piero Boitani, Giuseppe Bonfrate e Manlio Simonetti, edito splendidamente da Lorenzo Valla), e mi scrive di suo pugno, a mo’ di augurio, un passo origeniano:
“Omnia namque hic cursus propterea/ agitur et propterea curritur, ut/ perveniatur ad flumen Dei, ut proximi/ efficiamur fluentis sapientiae et/ rigemur undis scientiae divinae. (…), cioè “In effetti si fa tutto per questo viaggio,/ si corre tanto per arrivare al fiume di Dio;/ per appressarci al fluire della sapienza,/ per essere irrigati dalle onde della scienza divina. (…).
E… leggo a pag. 34, da Enarratio in Psalmos 41, 8, Agostino: “Dov’è il tuo Dio? (…) Se Dio è invisibile, ha però creato l’universo. Per trovarlo, dunque, occorre volgersi ad esso, considerare la terra, i semi, le piante, il mare, il cielo, le stelle. Sono tutti meravigliosi da magnificare stupefatti, ma sono creature, non creatori. Non saziano la sete di chi cerca Dio. Allora si torna a se stessi e si indaga su chi sia l’io che indaga tali cose, e si trovano un corpo e un’anima. Le membra del corpo, gli occhi, le orecchie, il naso, le mani, non riescono però a percepire Dio. L’anima può invece vedere dentro di sé, vedere ciò che non è colore né suono né odore né caldo o freddo… Sapienza e giustizia non hanno colore, non hanno odore, non hanno sapore. E tuttavia l’anima non riesce a vedere Dio perché, mentre egli è verità immutabile e sostanza cui nulla fa difetto, essa è mutevole, sa e non sa, ricorda e dimentica, ora vuole una cosa ora non la vuole. Non riesce a tangere, a raggiungere e toccare Dio. Non rimane allora che effondere sopra di sé la propria anima. E ancora Agostino: “Cerco perciò il mio Dio in ogni corpo, sia della terra sia del cielo, e non lo trovo; cerco la sua essenza nella mia anima e non la trovo. Tuttavia ho meditato la ricerca del mio Dio e, bramando di contemplare la realtà invisibile di Dio comprendendola per mezzo delle cose create, ho effuso sopra di me la mia anima, e ormai non mi resta altro da raggiungere se non il mio Dio. Là è infatti la casa del mio Dio, al di sopra della mia anima; là egli abita, di là mi osserva, di là mi ha creato, di là mi governa, di là mi consiglia, di là mi sprona, di là mi chiama, di là mi guida e conduce...”.
Anche Dante si occupa del viaggio dell’anima, quando scrive nel Convivio: “Nella quarta parte della vita, l’anima fa due cose, l’una che ella ritorna a Dio, sì come a quello porto onde ella si partio quando venne ad entrare nel mare di questa vita; l’altra si è, che ella benedice lo cammino che ha fatto, però che è stato diritto e buono, e sanza amaritudine di tempesta e (…) è da sapere, che, come si dice Tullio (Cicerone) in quello de senectute, la naturale morte è quasi a noi porto di lunga navigazione e riposo. Ed è così: che, quasi come lo buono marinaio, come esso appropinqua al porto, cala le sue vele, e soavemente, con debile conducimento, entra in quello, così noi dovremo calare le vele delle nostre mondane operazioni e tornare a Dio con tutto nostro intendimento e cuore, sì che a quello porto si vegna con tutta soavitade e tutta pace (IV 28, 3).
E Shakespeare nell’Amleto (III, I, 79): “Esce di mano a lui che la vagheggia/ prima che sia, a guisa di fanciulla/ che piangendo e ridendo pargoleggia,/ l’anima semplicetta che sa nulla,/ salvo che, mossa da lieto fattore,/ volentieri torna a ciò che la trastulla.” E’ l’animula vagula blandula di Adriano…
E San Giovanni della Croce: “Per giungere a gustare il tutto,/ non cercare il gusto di niente./ Per giungere al possesso del tutto,/ non voler possedere niente./ Per giungere ad esser tutto,/ non voler essere niente./ Per giungere alla conoscenza del tutto,/ non cercare di sapere qualche cosa di niente./ Per venire a ciò che ora non godi, devi passare per dove non godi./ Per giungere a ciò che non sai, devi passare per dove non sai./ Per giungere al possesso di ciò che non hai,/ devi passare per dove ora niente hai./ Per giungere a ciò che non sei,/ devi passare per dove ora non sei.” (in Opere, trad. F. di S. Maria, Roma 1975, pp. 60-1).
E Thomas S. Eliot: “In order to arrive there,/ To arrive where you are, to get from where you are not,/ You must go by a way wherein there is no ecstasy,/ In order to arrive at what you do not know/ You must go by the way which is the way of ignorance./ In order to possess what you do not possess/ You must go by the way of dispossession./ In order to arrive at what you are not/ You must go through the way in which you are not./ And what you do not know is the only thing you know/ And what you own is what you do not own/ And where you are is where you are not.” cioè… tutti comprendiamo bene questo inglese. (in Opere 1919-1962, a cura di R. Sanesi, Milano 1993, pp. 358-9, trad. F. Donini). Una specie di parafrasi di San Juan de la Cruz, vero?
E che devo dire io al termine del picciol viaggio, che mi accompagna anche oggi al limitar di questa sera?
L’anima mia viaggia come le anime di tutti gli uomini, a volte in compagnia, a volte in solitudine, ora con lo sfondo sonoro di J. S. Bach (Gott ist unsre Zuversicht Kantate – BWV 197), eseguita dal Concentus musicus Wien diretto da Nikolaus Harnoncourt.
L’anima mia vagula, e blandamente si appoggia alla balaustra come una foglia malinconica e sorridente.
L’anima mia sorride dal bordo della mia ombra.
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