Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

Il dolore e il limite

il dolore e il limiteTi chiedo scusa, caro lettore, per l’immagine un po’ trucida che inserisco qui, abbi pazienza…

La vita è anche dolore e limite, e sta insegnandomeli, tutti e due.

Non che non abbia mai provato dolore e sentito finora il limite, ma così no. Mai. Così fortemente e lucidamente handicappato: so che il termine è sbagliato, ma solo politicamente, e quindi lo uso.

E imparo a considerare la precarietà del tutto, cioè in preghiera, in supplica di un bene, che può essere sempre volatile, nella vita umana.

Per questo l’arroganza, la protervia e la prepotenza (secondo la classificazione aristotelica e bobbiana), ma anche l’impazienza, l’amor proprio mal modulato, l’incapacità di comprendere il limite altrui, appartengono, prima che alla sfera del male morale, a quella dell’assurdo razionale. Chi si specchia nella propria pozza d’acqua sollecitando il narcisismo dormiente, e sollecitabile anche con una piuma di colombo, finisce con l’essere dominato da un paesaggio interiore che non va oltre la prospettiva del proprio naso e finisce al muro di fronte.

Di che cosa ti vanti, uomo, quando non hai dolore e non vivi il limite? Del tuo precario star bene, del tuo benessere ballerino, della tua potenza apparente, del tuo potere passeggero, del tuo ruolo impermanente, della tua leadership sempre a rischio? Di che cosa ti vanti?

Buonissima la lezione del limite e del dolore, come dimensioni necessarie, la prima come rappresentazione oggettiva dell’essere umani (scimmie nude autocoscienti), la seconda come memoria (memento, homo, quia pulvis es) di ciò-che-si-è. La consapevolezza del limite è un interpello alla razionalità, mentre il sentimento del dolore è un ponte emozionale, che responsabilizza e vivifica.

Il lettore potrebbe ragionevolmente obiettarmi che è facile parlare di dolori limitati nel tempo e nelle conseguenze (come il mio qui documentato). Giusto: ma ogni dolore (e ogni limite) si vive in situazione, sospendendo ogni riflessione sul contenitore tempo e sulla dimensione spaziale, in una epoché (husserliana), che permette di cogliere immediatamente la verità delle cose, mediante l’intuizione veritativa. Momenti di gioia e di dolore si vivono -kairologicamente- momento per momento e Measure for Measure (direbbe Shakespeare).

E’ inutile cercare di sfuggire a questa regola di funzionamento esistenziale, ché non vi son pertugi o semplificazioni del nostro individuale, proprio, inderogabile, indelegabile stare-a-questo-mondo.

Il dolore e il limite si illuminano reciprocamente di una verità incontrovertibile, dicendoci che tutt’intorno a essi si svolge la nostra vita: sta a noi auscultare, senza zittirli e senza compiacimenti auto-mortificatori, la lezione che ci viene donata. Grazie, dunque, anche al limite esistenziale del dolore (grenz Situazion), perché così si scorgono nuove apparizioni dell’essere: una metafisica del dolore permette di darne una plausibile ragione e un fine umanissimo.

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