Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

oltre andare

il destino…mi chiedevano oggi se ho (possiedo) una casa, come l’80% degli abitanti del Nordest italico, no, sono in affitto ho risposto, e preferisco così “essere in strada”, non nel senso di non avere un tetto, ma nel senso di peregrinus, itinerans, e anche precarius, con lo sguardo al futuro che viene, al domani, senza perdere attenzione per i passi di oggi, guardandomi i piedi avanzanti lungo il cammino, e il paesaggio cangiante…

in affitto si sta come insegna la Bibbia (estote parati), in piedi con la cinta ai fianchi e il bordone nella destra, la bisaccia sul tavolo con pane e carne secca, ché l’acqua si trova per strada, come il popolo che partiva dall’Egitto (tutti cerchiamo “un altro Egitto”: così cantava il nipote del capitano De Gregori), e la tenda è meglio della casa, perché quella prepara spiritualmente al viaggio…

sono da sempre paratus, con lo sguardo curioso sul mondo e su ciò che i giorni venturi mi presentano, che non conosco e attendo senza ansia…

la nuova casa è in un vicolo chiuso, cosicché per andare via da lì avrò sempre una sola uscita, a sinistra, ma allo stop due sensi e poi infinite strade mi aspetteranno…

inesorabili cose si muovono, oppure son lì lungo la via che percorro e non so quali, circostanze frutto di enne concause creano il de-stino (faber est suae quisque fortunae, cioè ciascuno è autore del proprio destino; la locuzione è presente nella seconda delle due epistulae ad Caesarem senem:/ de re pubblica -De rep., 1, 1, 2- attribuite a Sallustio, ma di autenticità molto discussa, e non è improbabile vederle citate come opere dello Pseudo Sallustio), ovvero una cum voluntate mea, quae libera esse puto (fino a un punto che non conosco, e neppure i neuro-scienziati posson dire di conoscere)…

non sono uno stoico classico, né un agostiniano pessimista, né luterano, né spinoziano, per pensare a un destino pre-stabilito da una necessità incontrovertibile rispetto alla contingenza (terza prova metafisica tommasiana dell’esistenza di Dio, effettivamente un poco fragile)…

il destino mio (e quello di ciascuno), come dice Emanuele Severino, è nel groviglio di vettori causali in atto, com-presenti ed eterni, come tutto-ciò-che-accade sub specie aeternitatis, ovvero in mente Dei

ogni nostro atto, ogni atto che ac-cade nel mondo è eterno, là dove stanno gli essenti eterni, in un luogo-spazio-tempo puntuale e definitivo, neppur Dio può impedirlo ex-post, solo averlo pensato prima, può…

e non è che ciò limiti la Sua onnipotenza, ché questa è contenuta nella volontà infinita ed accogliente della libertà donataci da quando siamo auto-consapevoli da Lui stesso, Padre buono…

anche i morti e gli assassini di Tunisi di ieri sono parte di questo infinito incrocio di vettori (se i turisti di Torino non… e se… e se), ma così è accaduto e altro accadrà, prima che anche queste vicende svoltino verso altri lidi fattuali, e la tremenda barbarica manifestazione della ferinità umana si trasformi in pacata riflessione…

e allora, adunque e quindi, che ci si aspetta dal futuro, dal destino, in questa peregrinante ricerca, in questa inquietudine  periclitante e spesso avara di gioie e di conferme?

Forse è meglio attendersi nulla o, meglio, il nulla di ciò che si desidera (ah, derivante da sidera, dagli astri, dunque, l’astrologia torna sempre in campo!), cosicché ogni cosa che arriverà, sotto forma di dono, sarà una piccola o men piccola gioia, in un flusso perennemente aperto di possibilità, in una dimensione dove l’essere stesso e il nostro esistere (ex-sistere) individuale si incontreranno condividendo la rispettiva sostanza-verità, senza illudere il soggetto (noi stessi) che la felicità sia una dimensione raggiungibile oltre l’equilibrio tra gioia e dolore in questa breve/ lunga vita, in questo miracolo di luce.

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