spoliazione come ritorno all’essenziale
Spoliazione in greco si dice kènosis, letteralmente “svuotamento” o “svuotarsi”.
Il termine è teologico e mistico, essenzialmente cristiano, ma non privo di sfumature semantiche presenti anche in altre dottrine religiose. In greco antico κένωσις, kénōsis, deriva dal sostantivo κενός, kenós, che significa “vuoto”.
Nella Lettera ai Filippesi Paolo scrisse: “Cristo svuotò se stesso (ἐκένωσε, ekénōse)” (Fil 2, 7, Cf. Bibbia di Gerusalemme), utilizzando il verbo κενόω, kenóō, che, appunto, significa “svuotare”, o “spogliare”.
Il testo (2, 5-11)
(…) 5 Abbiate in voi lo stesso sentimento che è stato anche in Cristo Gesù, 6 il quale, pur essendo in forma di Dio, non considerò l’essere uguale a Dio qualcosa a cui aggrapparsi gelosamente, 7 ma svuotò se stesso, prendendo forma di servo, divenendo simile agli uomini; 8 trovato esteriormente come un uomo, umiliò se stesso, facendosi ubbidiente fino alla morte, e alla morte di croce. 9 Perciò Dio lo ha sovranamente innalzato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni nome, 10 affinché nel nome di Gesù si pieghi ogni ginocchio nei cieli, sulla terra, e sotto terra, 11 e ogni lingua confessi che Gesù Cristo è il Signore, alla gloria di Dio Padre.
Nella teologia cristiana, appunto, Cristo Gesù si svuota della sua divinità incarnandosi come uomo, e ubbidendo al Padre fino alla morte di croce. Analogamente, l’anima credente si deve svuotare della propria volontà (egocentrismo) che può essere propensa al male e al peccato, facendosi spazio per la volontà divina, che opera per mezzo della Grazia.
Ora come non mai l’uomo ha bisogno di questa kenosis, per scalfire e abbattere la sua arrogante e violenta sicumera.
Giovanni della Croce raccontò il suo “svuotamento” ne “La notte oscura dell’anima” come momento angoscioso e disperato, ma foriero di conversione e liberazione, fino a una sorta di imitatio Christi.
Francesco d’Assisi si è spogliato dei suoi abiti in pubblico e davanti al vescovo, per significare la rinunzia a tutti beni terreni.
Nell’oriente cristiano troviamo la preghiera del cuore, o della spoliazione, che recita: “Gesù, Figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore“. E’ il riconoscimento di un essere creaturale, limitato, debole e fragile, bisognoso di com-passione e di dialogo…
Troviamo una sorta di kenosis fors’anche nella tradizione buddista, con il concetto di “vacuità” presente nel “Nirvana”.
La spoliazione della propria arroganza e autoreferenzialità, dunque, altro non è che una ricerca, o un ritorno all’essenziale, a ciò che veramente conta nella vita: la verità del proprio sé nel rapporto con gli altri, che non diventano mai oggetti, essendo degli “io”, proprio come ognuno di noi, non di più e non di meno, ciascuno con la sua irriducibile unicità e dignità.
Uguali in valore e differenti come manifestazione dell’umano.
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