Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

meditando su ciò che conta veramente

InuitCarissimo lettor serale,

basta ogni tanto un bicchiere di vino da sorseggiare lentamente, e un crostino. Lentamente, dopo aver letto che gli Inuit (gli Eschimesi), indiani delle terre fredde di Groenlandia e Canada, non hanno neppure una parola, un termine, per designare il concetto di “futuro”, ma tuttalpiù hanno “domani” e “dopodomani”, tanta è la loro visuale esistenziale. Essenziale. Non che per loro non esista “un” futuro, ma non è importante: loro fanno quello che devono, cacciare, accudire, difendersi dal vento e dalla neve ogni giorno. Agostiniani inconsapevoli.

In italiano e in tutte le lingue europee, latine, slave o germaniche che siano, il futuro è un tempo verbale, e in latino addirittura una struttura indicante un’azione che necessariamente accadrà, la frase perifrastica attiva.

Loro hanno invece una quarantina di modi per definire la neve e il vento: la neve ghiacciata, la neve umida, la neve che viene dal Nord, il vento dell’Est e quello che viene dalle grandi foreste…

Loro vivono nel freddo e si procurano cibo per una settimana al massimo, niente di più, niente accumulazione, niente paura di morir di fame  o sotto assedio, come abbiamo imparato e insegnato noi bianchi occidentali, civilizzati e culti.

Pare invece che gli Unni, secondo Ammiano Marcellino, non avessero l’idea del divino. Mi sembra quasi impossibile, perché tutti i popoli del mondo, in ogni tempo, hanno sviluppato un senso del “sacro”, cioè del diverso, separato, affascinante, tremendo, meraviglioso (cf. R. Otto, Das Heilige, 1927, tr. it. E. Bonaiuti), prodromo psicologico del religioso. Forse l’autore latino non attribuiva all’animismo, tipico delle steppe uralo-altaiche, di quei “barbari” una valenza sacrale o religiosa.

Così, davanti a un bicchiere in osteria, o raffinata enoteca, prezzi modici e qualità alta, Food&Wine, prima di rincasare, riconciliato con la vita e l’umore di giornata.

Ah, quanto poco basta per vivere un momento di pace perfetta, di amicizia con il mondo, salutando cordialmente chi non ti è mai stato simpatico (e non sai perché), e incroci all’improvviso, per strada.

Che cosa conta se non questo poco (che è) moltissimo, in definitiva solo il tuo sguardo sul mondo, non un giudizio pretenziosamente oggettivo, ma un’intuizione, un andare alla verità delle cose senza parametri e paraventi, e preconcetti e pregiudizi e bardature orpellate e barocchiche.

Poi esci e vedi uno spicchio di luna nel cielo.

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