Ri-cordare è come dire “questo/a sono io”
viaggiando stamani in bici verso la Civitas Langobardorum, fidente nello sforzo rotondo della pedalata che conduce lontano, viene bene il pensiero, perché il moto corporeo favorisce il suo flusso, e anche i ricordi, recentissimi, meno recenti e quelli lontani nel tempo. E adunque la riflessione: il verbo ricordare rinvia al latino cor, cordis, cuore, mentre memorizzare rinvia a mens , mentis, e al greco mnemosyne, mente: sembra dunque che i ricordi transitino per il “cuore”, mentre la funzione della memoria sia della mente. Infatti, richiamare i ricordi non è come mandare a memoria qualcosa che, con il tempo, diventerà un ricordo. In realtà, la funzione della memoria e del ricordo è integrata a livello mentale e corporeo.
Ciò che ricordiamo soggettivamente in qualche modo contribuisce in modo radicale a costituire il nostro “io”, perché ognuno di noi memorizza e poi ricorda le proprie esperienze, costruendo una biografia unica e irriducibile a qualsiasi altra: in altre parole la nostra memoria è una delle funzioni che ci permettono di dire “io sono”, e cartesianamente (o agostinianamente), ricordo-dunque-sono.
I neuro-scienziati ci stanno spiegando da tempo che il cervello lavora in maniera “integrata”, anche se vi sono specifiche aree preposte a delle funzioni e non ad altre.
Una di queste -tra le altre- è l’ippocampo, così chiamato perché assomiglia al cavalluccio marino: questo organo ci fa ricordare odori, volti, suoni, periodi della nostra vita e così via. Una èquipe di scienziati francesi ha sperimentato il trapianto di alcune cellule nell’ippocampo di topi inserendo stimolazioni piacevoli legati all’ambiente circostante: i topi si sono mossi come-se-ricordassero qualcosa di piacevole scegliendo di andare verso quei luoghi inseriti, durante il sonno, come piacevoli. Quei topi hanno ricordato qualcosa di fasullo, dunque.
Se la scienza è capace di questo si potrebbe pensare di intervenire anche sugli esseri umani sostituendo “pezzi” di memoria individuale con “pezzi” di altre memorie individuali? Se ciò fosse possibile, potrebbe essere anche lecito?
Eccoci di fronte a una delle tante domande che la filosofia morale e il diritto devono farsi nel caso in cui si tocchino questioni come questa. Pare di poter dire che la risposta è negativa, anche nel caso in cui, magari a “fin di bene”, si volesse sostituire memorie contenenti ricordi dolorosi o negativi, con ricordi gioiosi. Infatti, che soggetto umano sarebbe quello, cui si sottraesse la memoria della vita propria, delle esperienze, dei dolori e delle gioie veramente vissute?
Un prodotto artificiale, un artefatto a livello di coscienza, un soggetto ricondizionato e falso. Sarebbe un delitto contro la più condivisibile concezione di natura, come principio vivente, dato dalla sua propria ontogenetica e dallo sguardo posato sul mondo di un essere autoconsapevole.
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