la casa e la tenda
l’Omelia 17 di Origene sul libro dei Numeri (cap. 24) inizia così:
“E’ ormai tempo di esaminare che cosa è detto in quel che segue: Quanto sono belle le tue case, Giacobbe, le tue tende, Israele! Come boschi ombrosi, come giardini lungo i fiumi, come le tende che il Signore ha piantato, come cedri presso le acque. E dopo la bella traduzione italiana di M. Simonetti, apprezziamo il poetico testo latino: Quam bonae domus tuae, Iacob, tabernacula tua, Israhel! Ut nemora umbrantia, ut paradisi super flumina, et sicut tabernacula quae fixit Dominus, sicut cedri iuxta aquas (Num 24, 5-6).”
Continua l’Alessandrino: “Quando (Balaam, inviato dal re di Moab Balak, ndr) dice belle le case di Giacobbe, non credo che lodi le loro dimore terrene, in quanto non consta esse siano state tali a confronto di quelle degli altri popoli. (…) la parentela non è secondo la carne e il sangue, ma secondo l’intelletto e l’anima, allora comprenderai quanto siano belle le case di Giacobbe, quanto siano belle le tende di Israele. Se poi ricercherai la differenza tra le case e le tende, tra Giacobbe e Israele, anche a tale proposito si deve fare una distinzione di questo genere.
La casa è qualcosa di fondato, stabile, esattamente delimitato; invece le tende sono le abitazioni di coloro che sono sempre in cammino, sempre in movimento e non trovano mai la fine del loro andare. Perciò intendiamo che qui Giacobbe impersoni coloro che sono perfetti in attività e opere; invece per Israele bisogna intendere quanti si sono dedicati allo studio della sapienza e della conoscenza. (…) Perciò la Scrittura di quanti sono incamminati sulla via della sapienza di Dio non loda le case -perché non sono arrivati alla fine- bensì ammira le tende, sotto le quali sono sempre in viaggio e, quanto più progrediscono, tanto più si allunga la via del progresso spirituale e si distende incommensurabilmente. (…)” (Il viaggio dell’anima, a cura di M. Simonetti, G. Bonfrate, P. Boitani, Fondazione Lorenzo Valla/ A. Mondadori Editore, Milano 2007, pp. 69-71)
Il lettore si può legittimamente domandare perché abbia voluto ripescare in questo silenzioso lunedì dell’Angelo un testo di quasi diciotto secoli or sono. Semplice: Origene, così come Agostino, i due grandi Greci e Tommaso d’Aquino, non finisce mai di stupirmi e quindi lo leggo, trovando sempre spunti validi per i nostri tempi e le nostre vite. La dimensione teologica, cioè l’esegesi e l’interpretazione del testo biblico di Numeri è pienamente in vista: essa dice come l’uomo di fede, l’anima credente in Dio (e anche nell’uomo) non debba fermarsi mai, convinto di avere raggiunto la propria meta, perché questa è sempre da conseguire, a mano a mano che si procede… Si aprono, infatti, nell’incedere dell’anima spirituale, ma anche della vita concreta, sempre nuovi spazi di comprensione delle cose, di accompagnamento dell’altro e di azioni da compiere. E allora non può bastare costruirsi una solida casa, che non si può spostare (almeno qui da noi, ché in America, popolo nomade, si può ancora fare), ma bisogna anche sapersi accontentare della tenda, mobile, più fragile ed esposta alle intemperie del tempo e agli imprevisti del cammino.
La casa serve per dirsi di avere fatto qualcosa sotto il profilo delle opere, è cosa buona, ma può anche non essere di proprietà, basta sia disponibile in affitto.
La tenda, invece, è necessaria per il viaggio, per la ricerca, per l’inquietudine umanissima che accompagna la vita.
Per procedere lungo il cammino infinito.
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