pavoni e vanagloriosi
Caro lettor gentile,
papa Francesco ha ordinato diciannove sacerdoti facendo loro raccomandazioni molto semplici: “Mai rifiutare il battesimo a chi lo chiede, non andare di fretta nel celebrare messa, non essere noiosi nelle omelie…” E poi raccomanda loro di non “fare i pavoni”, coltivando l’autocompiacimento e il narcisismo. Li invita a non usare parole vuote, che “fanno male” all’anima di chi ascolta e di più a chi le proferisce.
E aggiunge: “Con il sacramento della penitenza rimetterete i peccati in nome di Cristo e della Chiesa: e io vi chiedo di non stancarvi di essere misericordiosi. Voi sarete nel confessionale per perdonare, non per condannare.”
Conosco anch’io dei “pavoni” nel mondo ecclesiale, almeno (e solo) tre, tra tanti meravigliosi presbiteri che ammiro e con cui collaboro. Colpisce comunque la loro presenza colà dove dovrebbe prevalere la virtù di umiltà. Ma è meglio non meravigliarsi, perché l’uomo, qualsiasi cosa faccia nella vita, si porta dietro il suo bagaglio di sentimenti, passioni e limiti.
La mancanza di umiltà in quegli ambienti si caratterizza vieppiù per una sorta di falsa modestia, che rende ancora meno accettabile il narcisismo latente.
I “pavoni” stonano perché si trovano in un contesto dove è sottesa la ricerca della verità, di cui l’umiltà è intrisa, come virtus magistra animae, a contrastare ogni forma, anche la più subdola, di superbia (caput vitiorum) e vanagloria, una sorta di millanteria scaturente da un’enfatizzazione di meriti o virtù sopravvalutati o inesistenti (cf. Giovanni Climaco e Gregorio Magno), insidiosi vizi spirituali, diffusi anche di questi tempi, non meno che nel passato.
Che direi se dialogassi con costoro (questi tre)? Provate a riflettere sull’importanza del cammino, sulla sua prevalenza rispetto alla meta che vi siete prefissi. La meta vera sarà quella che il termine del cammino troverà.
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