diversamente umani
Tommaso d’Aquino distingueva nella sua etica (cf. II-II Summa Theologiae) le “azioni umane” dalle “azioni dell’uomo”, attribuendo alle prime una certa rilevanza morale e alle seconde una semplice specificazione “genitiva”. Dico meglio: per il filosofo domenicano, dire “azioni umane” è come specificare “azioni caratterizzate da una certa umanità”, intesa come sentimento creaturale e solidale frutto di una coscienza auto-riflettente e responsabile, mentre dire “azioni dell’uomo” è come rilevare che l’uomo è anche vita vegetativa irriflessa, e pure autore di azioni non meglio specificate, di ogni genere e specie, buone e cattive, corrette e sbagliate, opportune e improprie, e comunque moralmente rilevanti.
La distinzione tommasiana mi permette di esaminare due “atti umani” odierni configurabili in ciascuna delle due categorie antropologico-morali: a) come “azioni dell’uomo”, in questo caso orrendamente stupide e devastanti, quelle dei giovanotti mascherati perché vigliacchi che hanno invaso il centro di Milano questo pomeriggio distruggendo e inquinando una legittima manifestazione di dissenso; b) come “azioni umane” quelle dei soccorritori in Nepal, capaci di estrarre vive dalle macerie persone sepolte da oltre cento ore.
Se dovessimo pensare che le “azioni dell’uomo”, come nel caso sopra citato, sono attribuibili a un ritardo evolutivo o a una determinazione meccanicistica ad essere ed operare solo in quel modo, dovremmo ammettere che non si può dare diritto penale di alcun genere, e quindi né giudizio né sanzione. Ma non può essere così, anche se qualche dubbio può sorgere ascoltando certe interviste: uno dei ragazzi violenti, interpellato sul “perché”, ha risposto “…cioè, perché bisogna far capire con le buone o con le cattive che abbiamo ragione noi, e cioè quindi se si deve spaccare qualcosa, sono d’accordo, e quindi, se posso, spacco tutto. Sì quella di oggi è sta una bella esperienza” (cf. Mattia Sangermano, noto pensatore contemporaneo, ventunenne, poi pentitosi, definito dal padre “pirla”, aggettivo milanese che appiopperei anche al padre stesso).
Bravo, e soprattutto bravi i suoi genitori, insegnanti e chiunque sia stato vicino o meno, nel tempo, a quel piccolo imbecille.
Che fare? Rassegnarsi a una endemica e stupida violenza, o continuare pazientemente a operare per la conoscenza ponendo il pensiero critico come luogo dal quale può partire ogni benefica evoluzione? Naturalmente la seconda opzione, che però richiede una consapevolezza più profonda e diffusa di questo punto criticissimo, decisivo.
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