Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

Il vento di Samatorça

castello di VillaltaRicordo il vento di Samatorça.

Soffiava non si sa bene da dove nel piccolo cimitero, dove è sepolto nella terra Ladi Rebula, con una croce di legno e qualche fiore. Il muretto circostante è basso e lascia intravedere il bosco, nascondimento per animali e transito del vento.

Tra i rami degli alberi si attorciglia e si divincola il vento, come spirito delle anime salve lì seppellite, con varia pietà, con diversa memoria.

Ricordo il vento di Samatorça.

E poi le strade tortuose della bassa montagna petrosa, chiamata con l’antico indo-europeo kar (Carso), come Carnia, Carniola, Carinzia, Caravanche: kar, la pietra. Pochi viandanti e il sole della stagione che nasce, garruli uccelli nelle macchie profonde, verso il Vipacco e la grande Selva degli orsi.

Non vi sono che echi in lontananza di macchine e moto, incapaci di arrivare nel cuore della terra: i motori sfrigolano, girano, corrono distanti dal fremito di vita della campagna selvaggia: chi li pilota non ha tempo per l’anima, in ritardo evolutivo.

Ricordo il vento di Samatorça.

Il muretto è riscaldato dal sole, adatto ad accogliere il riposo e il silenzio di chi passa e vi si distende sopra, per farsi scorrere il soffio inatteso lungo i fianchi, e aspettare che venga il tempo del congedo, fino a diventare preghiera e consiglio.

E oggi ausculto e incontro un altro vento, quello delle colline. Mi sto inerpicando verso l’avito castellum dei conti di Villalta, mille anni di storia e di vicende oscure, perché perse nel tempo. La bici scollina silenziosa mentre il cuore batte regolare. Il ritmo della pedalata si adegua alla spinta, il respiro si regola, la mente si libera in pensieri, ricordi di eventi, memorie di volti, parole sonore e silenzi.

Ricordo il vento di Samatorça e i refoli di tra gli alberi verdissimi di questa mattina piena di luce.

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