cari professori
…con padri e madri siete nel centro dei processi educativi, e a volte rimediate, rinforzate, sopportate comportamenti insopportabili, a volte non osate esprimere giudizi sui ragazzi, perché temete reazioni inconsulte da parte delle famiglie. La rivoluzione socio-morale postsessantottina vi ha dimezzato lo status, confondendo l’autoritarismo con il ruolo che la natura da sempre, e la cultura da tre millenni vi hanno consegnato. Siete dei maestri, a volte non rispettati, pagati poco e trattati male.
Vi voglio bene, ma qualche volta non capite una mazza. In queste settimane vi state opponendo a una riforma imperfetta (ma la perfezione è come la morte), che mette al centro la responsabilità individuale e una scuola buona per tutti, ascensore sociale per chi ha meno epperò ha potenziale e talento. Ce l’avete con il potere dei presidi, ma sapete che nel privato i dirigenti si valutano, si confermano e si cambiano senza tanti problemi solo sulla base dell’efficacia della loro capacità di leadership? Perché non poter fare altrettanto con i presidi? Nel privato diventano capi quelli che sono disponibili ad assumere responsabilità nel contesto e nell’equilibrio delle strutture.
Il tema è quello della responsabilità, anche di chi agisce nella scuola, dove tutti operano con un minimo di questa dimensione del “rispondere-di-qualcosa-che-si-fa”, (cf. Tommaso d’Aquino, Kant, Max Weber) quasi mai verificabile e confrontabile. Bisogna cambiare per dare chiarezza e qualità alla formazione.
Voi non siete solo dei professionisti, ma anche degli intellettuali, dei cultori del sapere, e pertanto non temete il nuovo, suvvia. Ve lo dice uno che viene da lontano e dal basso, ed è ancora in basso con la stragrande maggioranza dei lavoratori, ma consapevole e vigile.
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