la paura e il dolore
nella mia non brevissima vita ho fatto una sola notte (anzi con stanotte sono due, e la prossima tre e… speriamo basti, per completare gli esiti di un’artroscopia) di ospedale, a gennaio scorso, quando ho raddrizzato la mano destra dalla “sindrome dei Vichinghi”. Per il resto, tonsille da bimbo, qualche incidente ragazzuolo e sportivo, da poco, un po’ di dentista, un’unghia incarnita. Nulla, quindi.
Stavolta un’artroscopia al ginocchio destro per rimuovere un frammento del menisco mediale. Intervento di routine, si dice, in day hospital. Sì certo, intervento routinario, ma accompagnato dalla paura e dal dolore del dopo. La prima notte è stata insanguinata per un’arteriola non serrata, e non indugio nella descrizione di trucide scene notturne gestite con ferma dedizione ed efficienza da Daniela e Bea. La mattina presto a ricucirmi e poi il dolore, il gonfiore postoperatorio, nocicettivo somatico, una notte di sofferenza inaudita (per me).
E tanti messaggi e telefonate solidali, di amici e colleghi, prodighi di consigli, vicini alla mia persona, con attenzione fraterna.
Forse allora sono percepito al di là di una certa insopportazione del banale e dello scontato, di una sorta di burbanza gentile, ossimorica (come mi dice sempre un caro amico), maturata con l’età, con la conoscenza e le esperienze. Vi sono persone che mi comprendono bene come quel “vecchio ragazzo” che sono, semplice e ingenuo, come un tempo.
In queste due notti ho imparato la paura e il dolore, e mi sono sentito fragile e indifeso come mai prima d’ora. Bisognoso di conforto e di raccomandazioni “prendila con calma… tutto si aggiusta”.
E ho anche lavorato con il computer e il cellulare, mandando avanti le cose di lavoro evadibili per via telematica.
Il mio calendario di impegni, l’agenda premurosamente preparata forse dovranno subire modifiche, ma è importante che io abbia capito che non siamo invincibili (che scoperta, eh?), che dobbiamo a volte cedere alla circostanza più forte della nostra volontà, che dobbiamo imparare sempre la virtù di pazienza, che innerva la fortezza, cioè il coraggio di vivere.
Ringrazio da qui tutti quelli che mi sono stati vicini, ciascuno a suo modo, in queste ore.
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