che cos’è quello che c’è?
Dovremmo fare sempre lo sforzo di non buttare via niente di ciò che, come umani, comprendiamo del mondo, magari senza essere capaci di spiegarlo del tutto. Infatti “comprendere” e “spiegare” sono due fasi conoscitive che si completano, ma che a volte neppure si toccano. Non sempre è possibile spiegare ciò-che-si-è-compreso, o si pensa di aver compreso, perché una parte di ciò resta inaccessibile alla sua traduzione comunicativa, la eccede, rimanendo nell’implicito e nel con-fuso.
Se concepiamo la storia del pensiero filosofico occidentale come un processo progressivo della conoscenza delle cose, e basta, dovremmo dire che Aristotele ha -in fondo- smentito e smantellato Platone, spostando l’attenzione dalla centralità del mondo delle idee, alla centralità della sensazione del “reale” successivamente elaborata dalla metafisica dell’ente e dell’essere, proponendo una conoscenza oggettiva; e che Descartes ha fatto lo stesso con Aristotele, spostando radicalmente lo sguardo dall’oggetto al soggetto, per poi venire superato a sua volta dal soggettivismo di Kant e degli idealisti tedeschi, fino ai nostri giorni.
In realtà il pensiero umano, partendo dal Mito e approdando con i Greci al Lògos, cioè alla ragione, si è dipanato e declinato in modi diversi e originali, cercando sempre di interpretare l’infinito svolgersi e rivelarsi del reale, della verità delle cose.
E’ uscito un libro interessante che ci aggiorna su questo percorso “Methaphysics and Ontology without Myths“, scritti di Willard van Orman Quine (a cura di Fabio Bacchini, Stefano Caputo e Massimo Dell’Utri, Cambridg Scholars Publishing, Newcaste 2015).
Un libro che ci conferma l’attualità del sapere ontologico e di quello metafisico, anche dopo le rivoluzioni scientifiche del ‘600 e degli ultimi duecent’anni. L’ontologia, cioè la domanda “che cosa c’è?”, e la metafisica, cioè la domanda “che cos’è quello che c’è?”, sono ancora la premessa e il sostrato di ogni ulteriore interrogazione conoscitiva.
Aristotele e Tommaso, ma anche Platone e Agostino, Plotino, Gregorio di Nissa e Origene, sono ben presenti nelle domande basilari, che nessuno può evitare, secondo Quine, magari non allo stesso modo dei loro tempi, è ovvio, ma secondo un filo rosso che ne attesta il valore permeando il pensiero successivo.
Noi umani abbiamo bisogno di astrarre, di generalizzare, di creare famiglie, categorie, di inquadrare, classificare, tassonomizzare quello che studiamo e capiamo, proprio per com-prendere (prendere dentro) anche quello che ci sfugge: si pensi alla infinita espressività della parola così come è studiata dall’ermeneutica, all’intraducibilità sostanziale dei testi, di cui siamo in grado di offrire solo surrogati di senso e di significato nelle lingue in cui non sono stati scritti.
C’è un bisogno enorme di domande ontologiche e metafisiche, non solo nella ricerca, ma nella vita corrente, di ogni giorno, nel quotidiano scorrere delle cose che decidiamo e che facciamo o subiamo.
Que viva la ontologia y la metafisica, mi hermano don Quijote!
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