estate slovacca
Di nuovo dopo qualche anno, io non poco acciaccato, i paesaggi pannonici punteggiati di pale eoliche. L’attraversamento dell’Austria è il conosciuto immergersi nel verde di foreste infinite, apprezzando le indicazioni di chiese, città e monasteri. Bratislava si presenta sempre più di vetro-cemento e il Danubio è finalmente quasi verde-oro nel pieno primo meriggio d’estate.
Strade ancora comuniste verso Galanta, con lavori in corso in perenne completamento. L’Hotel Tevel di Slavkovičovo è lì con le sue pretese un po’ falso-occidentali e i menù utilmente pesantucci, a ristoro della mia attuale condizione.
Il tempo passato non mi fa effetto, quasi che questo viaggio si possa sovrapporre ai precedenti, o come se, nitzscheanamente, tutto torni… Un’impressione? Eppure alcuni soggetti sono cambiati, l’azienda è diventata più grande, più internazionale, più autonoma. Qui vicino ci sono due enormi stabilimenti della Peugeot e della Samsung, ma dove mi trovo io regge tranquillamente il confronto per prestigio industriale e sicurezza dell’occupazione. A venti chilometri da qui, verso Trnava, svetta una centrale nucleare di proprietà dell’Enel: contraddizioni in seno al popolo? Che dire del nostro eroico diniego e dell’Enel che lavora sul nucleare in Centro Europa?
In azienda, more solito, c’è la competizione con qualche sospetto slovacco di “colonizzazione” culturale italiana, vero, non vero? La survey che sto proponendo sta facendo capire alcune cose, alcune fisime e alcune verità. L’uomo tende sempre a prevalere sugli altri, e la collaborazione necessaria è sottoposta al destino naturale della competizione. Bei ragazzi vivaci e proattivi, pieni di voglia di imparare, di fare, ingegneri ventisettenni che si sporcano le mani di olio e sperimentano la fatica della ricerca di difficili soluzioni. L’integrazione generazionale, di scolarità diverse, etnico-culturale non è mai facile. La recente rivoluzione organizzativa e gestionale ha scosso e motivato i responsabili e anche le persone giovani con potenziale. Bisogna anche comprendere la difficoltà delle relazioni interetniche e le caratteristiche slovacche, che non sono da banalizzare: storia recente, leaderismo, culto dell’immagine, una certa tendenza all’enfasi. Gli italiani hanno altri “difetti”: improvvisazione, a volte, talaltra una certa supponenza, ma i pregi degli uni e degli altri prevalgono sui limiti.
Si va in albergo affaticati e contenti dei colloqui pieni di empatia partecipativa, di entusiasmo razionale, non dionisiaco (e anche l’amico Nietzsche sarebbe d’accordo, in questo caso), aspettando l’ora di cena come l’occasione di un convivio capace di mettere in circolo ancora risorse relazionali e conoscenze ben integrabili della complessa vita dello stabilimento
La sera è lenta a venire come la notte a scendere, sia pure nel piccolo paese perso nella pianura che dista pochissimo dal Danubio ungherese. In un’ora e mezza di auto o poco più si potrebbe andare a cena a Budapest, in vista del Ponte Margherita, magari in un locale vicino alla Collina dei Pescatori.
E poi si torna,la stanchezza non vana, il dolore non smaltito, e a volte cattivo, ma vinto nella decisione del fare qualcosa di utile, con altri lavoratori. Sonnecchio infine quando l’Italia ci viene incontro nella notte, e le sagome delle grandi montagne scure preannunziano infinite avventure del corpo guarito.
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A me sembra che, da molto tempo, Lei sia l’unico oggetto vero del suo discorrere. Io, io, io, io. Oppure sbaglio?