il tour e la babbiona
10 anni fa ero sul Galibier con Bea, 4° a 2650 metri, lei che saltella con la maglia a pois di Rasmussen per scaldarsi, ma da prima e dopo il 2005 seguo il Tour per tv, e quando avrò tempo andrò sui Pirenei, perché questo evento fa parte del mio spirito, fin da quando ero bambino.
L’ultima tappa che finisce sugli Champs Élysées sotto la pioggia, mi permette di lodare e dire ammirazione per tutti i corridori, che hanno lavorato, rinunziato, sofferto nei loro corpi la grande avventura.
Vedo i grandi campioni che pedalano insieme in prima fila, la leggenda di Contador che conversa con il meraviglioso indio Quintana. Intravedo Nibali sornione, che potrà ancora vincere molto, il magrissimo e forte Froome, il mio amico Sagan, il bell’hidalgo murciano Valverde. Vedo Romain Bardet e immagino Fabio Aru su queste strade.
Sono contento perché vedo nell’uomo la possibilità di superarsi, sempre, cercando di salire verso un’umanità più alta, autotrascenza e Übermensch…
Una sola stonatura nelle cronache: una giornalista Rai che non parla, ma mitraglia, non dando spazio a nessuno nell’esagerazione delle parole, e straparla cretinando babbeismi nascosti nel dire troppi lemmi in unità di tempo. E con velleità letterarie.
Per finire, le tre perle di oggi: a) per lei Parigi è la “città eterna”, b) il ciclismo non si racconta ma si vive, però anche si racconta, c) definisce straordinario lo psicologo inglese che lavora per distruggere le emozioni dei corridori, così non sentono la fatica e il dolore…
Che? Sì sì, non occorre neppure la citi, una da non avere per casa.
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Sempre grande mostra di personale erudizione. Complimenti!