Le campane di San Martino
La bici mi stava riportando a casa, quando uno scampanio festoso, all’altezza del borgo di San Martino, mi è penetrato nell’anima.
Lo scampanio tipico delle grandi feste religiose, o dei “perdoni” di paese, legati ad antichi voti di ringraziamento alla Madonna o a qualche santo per grazie ricevute, durante epidemie di peste o le frequenti alluvioni del grande fiume, in friulano si dice “scampanotà”, e richiede una particolare abilità da parte dei campanari: infatti, dopo aver lanciato a distesa la campana grande, bisogna lavorare a mano con il battacchio di due campane più piccole creando un concerto armonioso di rintocchi che si inseguono perdutamente nell’aria. Il timbro delle campane deve essere intonatissimo, e allora l’effetto è grandioso, potente, evocativo, per me, di feste lontane, lontanissime nel tempo, di quando ero bambino, mezzo secolo fa…
La freschezza del suono e la sua ritmica ti penetrano fin nei precordi arcani della memoria, se li hai già sentiti bambino, e non è un dejà udito, è proprio memoria, lavorio dell’ippocampo.
Pedalando mi sono spostato oltre la villa del conte Kechler, verso i grandi stradoni che portano verso casa, e lo scampanio si inseriva tra le mura della villa e gli alberi del parco, fino a me che mi allontanavo lentamente. Avevo anche rallentato per ascoltare i rintocchi a distesa più a lungo, e mi sono chiesto perché suonassero così le campane del piccolo borgo delle Terre di Mezzo, questa prima domenica di agosto. Ma non importa, quello che conta è che suonassero nella grande campagna silente, vincendo lo stridio dei motori.
Il dolore dell’arto, dopo oramai quaranta chilometri, mi accompagnava, eppure quasi non lo sentivo, nel pomeriggio declinante, caro lettore.
Il suono delle campane penetrava il mio spirito donandomi una commozione antica.
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