Ich-Du, o “in principio è la relazione”
mi sbilancio in tedesco per dire il sintagma Io-Tu con il quale il pensatore e scrittore austro-ebreo Martin Buber ha segnato positivamente una parte importante della riflessione filosofica del ‘900, ispirando in qualche modo anche la ricerca di Emmanuel Lévinas, altro ebreo lituano di cultura francese, noto per la nozione forse complementare di quella buberiana (Io-Tu) del “Volto-dell’Altro”.
In un contesto tragico come quello del XX secolo il pensiero occidentale si è spinto a volte su crinali di solipsismo egotico spesso molto pericolosi, come certe derive soggettiviste-nihiliste (cf. Max Stirner, anche un po’ Heidegger e una certa declinazione politicizzata di Nietzsche, per il “superomismo” inteso erroneamente come conculcamento da parte del più forte della vita dei più deboli), il pensiero di Buber si rivela come fonte di saggezza profonda, declinandosi in “intensificazione solidale” della presenza-al-mondo-del-soggetto-come-relazione, non come un mero esser-ci (Heidegger). Se a quest’ultimo va riconosciuto il merito di aver recuperato la nozione di esistenza come supporto metafisico (nel senso concreto del termine) all’autenticità della vita (l’essere autentico dell’esser-ci), a Buber bisogna essere grati per la chiarezza con cui ha declinato la possibilità di comprendere la propria esistenza essenzialmente nella relazione autentica con ogni “Tu”, pensato come altro-Io.
In realtà, ognuno di noi fa fatica a pensare l’oggetto delle nostre attenzioni, che è l’Altro-da noi, il prossimo, amato o meno che sia, con il quale abbiamo un rapporto, talora ricercato (dimensione affettiva), talora obbligato (dimensione civile e professionale), come un “Io”, soggettivando ciò che intrinsecamente è “oggetto” delle nostre attenzioni, essendo “fuori di noi”, “altro da noi”…
La stessa dimensione religiosa, pur se ispirata a testi che fanno della fraternità la fonte di ogni rapporto con Dio stesso (ad es. il comandamento dell’amore cristiano: ama il prossimo tuo come te stesso, ma ama Dio con tutta l’anima, cuore forze, per cui i due comandamenti si fondano e si fondono reciprocamente), non ha per Buber una grande importanza se non è sorretta da un primigenio coglimento del rapporto Io-Tu come sorgente di ogni altro sentimento di fraternità e solidarietà. Per Buber, se non si coglie il “Tu” come soggetto, ogni dichiarazione religiosa di fraternità è fasulla, e falsa si rivela anche la “religione” stessa, come credenza in un Dio esterno alla “relazione”. Buber preferisce dire di Dio che è un “Tra”, prima e più ancora che Incondizionato, etc.. con tutti i nomi che la tradizione teologica gli ha voluto dare.
Dio come “Tra” gli “io” della relazione intersoggettiva, per cui si deve dare la giusta intensità e importanza a ogni momento del “qui e ora” della vita, a ogni relazione che abbia a che fare con chi non è noi stessi, lavorando sul superamento dell’azione transitiva del verbo: io “non accolgo l’altro”, ma “sono accolto accogliendolo”; io “non aiuto l’altro”, ma “sono aiutato aiutandolo”, in una circolarità che fa superare ogni azione egoistica, e soprattutto quelle che più sanno di altruismo, come il volontariato.
La relazione Io-Tu svela ogni ipocrisia legata alla generosità del dare, supera la dimensione del dono per realizzare ciò che di intrinseco avviene nella relazione stessa, la con-vivenza nel comune” stare” umano, di un “Io-Io”, in definitiva, senza confusione, ma con fusione di destino.
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