…e di gloria rifulse
aaah quanti ne abbiamo e conosciamo che rifulsero e rifulgono di dubbia o immeritata gloria! O anche di qualcosa di meno. Gente dello spettacolo, specie televisivo, l’elenco è inutile (voglio dire tipo la D’Urso o la Ventura o Varriale), ma anche letterario, cultural-filosofico, socio-criminal-psicologico (i Crepet, le Bruzzone, etc.), molti partecipanti ai talk show che si qualificano solo in quanto “partecipanti” all’effimera visibilità mediatica.
Nelle ultime due settimane ho leggiucchiato i racconti offerti dal Sole 24 Ore, soffermandomi per ragioni e valutazioni diverse su due autori “diversamente” noti, cioè, uno semisconosciuto, l’altro -ultimamente molto celebrato- anche perché defunto, addirittura candidato da qualcuno al Nobel letterario.
Il primo è Ugo Facco De Lagarda, e sfido i miei primi dieci lettori a dirmi se lo conoscono. Il racconto pubblicato è “Il Commissario Pepe”, portato sul grande schermo, forse quarant’anni fa e più da Ugo Tognazzi, egregiamente. La storia scorre, forse ambientata a Belluno, in una fitta trama di eventi e di personaggi che sembrano camminare su un set realissimo, alla Camilleri (se posso dire), o addirittura alla Flaubert. Le vite della piccola città si muovono osservate dal Commissario come dettate da un fato, o un destino co-costruito dal Genius loci, dalla parlata, dai tic e dalle tradizioni locali. Non possono che essere così, e il gusto narrativo del dettaglio di chi scrive svela uno studio dei caratteri inusitato per la frettolosa attività scrittoria della miriade di imitatori dello stile anglosassone che vanno per la maggiore, vendendo molto, in Italia. Ho in mente i tipo Baricco o Faletti, o Corona (et multi alii), ripetitivi dialogico-autoreferenziali.
Ugo Facco De Lagarda è uno scrittore.
Il secondo una delusione. E’ Sebastiano Vassalli, un sopravvalutato. Leggo il volumetto “La morte di Marx e altri racconti”, e quasi non ci credo. Come si fa a scrivere così? Il Vassalli forse pensa che i suoi lettori abbiano bisogno di essere accompagnati per un periodare consequezialmente paratattico e scontato: leggere per credere il primo racconto che dà il titolo al libro, ma anche i seguenti “Abitare il vento”, “Rocco del grande fratello”, o “Due favole sulla creazione del mondo” (da non leggere neanche al catechismo dei piccoli). Ma per chi ci prende quest’uomo? Il colmo lo tocca inventandosi un dialogo “platonico” su ciò che sia la democrazia, un dialogo tra un votante e un astensionista. Una congerie di ovvietà che si intuiscono prima ancora di leggerle, nella loro logica (si fa per dir) scontatezza.
Proprio per mera documentazione riporto un passo di p. 41. Il racconto è “Rocco etc.”. Leggiamo insieme.
“(…) Io (è una delle commesse di un supermercato protagoniste del racconto, ndr), invece, mi sono fermata e ho avuto la fortuna di conoscere un ragazzo alto, moro e palestrato, sul genere Walter Nudo dell’Isola dei Famosi. Tra noi ancora non è successo niente, ma mi ha accompagnata a casa e ci rivedremo. Samantha (ah che nome televisivo! ndr), poi, si è presa i disturbo di spiegarmi tutte le differenze che ci sono tra il vero Walter Nudo e il mio facsimile da discoteca, e ha detto che l’originale è più bello. Grazie, Samantha. Naturalmente parlava per invidia (o “gelosia”, Vassalli? ndr), perché la prima a mettere gli occhi addosso al simil-Nudo era stata lei, e io sono riuscita a toglierglielo dalle unghie e a tenermelo per tutta la sera: ma in queste cose ogni ragazza deve pensare a sé stessa e, insomma, cosa vuole da me quella stronza? Le ho risposto che nella vita bisogna accontentarsi. Io, se non ho l’originale televisivo, mi tengo il facsimile: e comunque è sempre meglio così che restare sole. (Prendi su e porta a casa, Samantha).”
Penso due cose: se Vassalli scrivendo questo testo pensava di fare critica o satira alla società mediatica, l’ha fatto con una bonomia e un linguaggio che non tange più nessuno. Semmai si legga in argomento Aldo Grasso sul Corriere! Se invece ha ritenuto di scrivere un racconto, gli è riuscito un tristissimo bozzetto di “provincia” (absit inuria verbis). Uno scritto penoso.
Amen
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