La fame e la paura
I cartelli di benvenuto ai profughi alla stazione di Monaco di Baviera segnano un pezzo della storia europea e della storia del mondo. La valenza simbolica dei gesti è sempre qualcosa che “lega” e fa comprendere immediatamente i fatti che accadono, a volte, molto più di complesse spiegazioni socio-economiche o politiche.
Dopo tanti tentennamenti le grandi nazioni dell’Europa, a partire dalla maggiore per abitanti e potenza economica, la Germania, si sono mosse, auspice una cancelliera che si è rivelata statista. In questa vicenda l’Italia ha ben meritato la palma della solidarietà, essendo il primo porto di approdo di tante persone sfortunate.
La visione della politica, in questo caso (negli ultimi decenni questi casi sono stati rarissimi), si è elevata dalla mera convenienza elettorale a una visione, a una prospettiva storica e, perché no, di lungimiranza economica e sociale. L’Europa ha già da tempo bisogno di un’iniezione di gioventù e di forza, perché è un continente debilitato e declinante, come la Germania ha capito forse più di altre nazioni.
Le virtù platonico-aristoteliche, tommasiane, illuministiche e kantiane dell’amicizia solidale, della fratellanza e della condivisione si sono di nuovo manifestate in queste settimane, atte a comprendere un fenomeno collocato al di là di una emergenza legata ai conflitti in corso nelle terre del Mediterraneo orientale, in Africa e in Asia, e proponendosi come ispirazione e vettore morale dell’azione umana politica.
Nel frattempo, però, non mancano le decisioni improvvide ed estemporanee, per le quali, ancora una volta si distinguono la Francia dell’imbarazzante presidente Hollande, e l’Inghilterra: l’annuncio di bombardamenti in Siria e Irak contro il Daesh. A nulla è valsa la squallida e tragica lezione dell’intervento monocratico di Sarkozy contro Gheddafi, le cui conseguenze sono sotto gli occhi del mondo.
In questo frangente drammatico l’Occidente non può limitarsi a lancia tardivamente Mirages, F14, 16, 18 ed Eurofighter contro le bandiere nere, ma deve immaginare e sostenere un processo di lungo periodo, ponendo la cultura e la conoscenza quali strumenti per la transizione democratica di tutto quel plesso arretrato, che sta producendo rovine e morte, e dialogando con i governi islamici più responsabili e decidendo con loro le politiche, anche militari, di intervento.
Ciò che sta accadendo non è un’emergenza, ma un grande e tragico vettore o deriva della storia, come molte altre dei secoli passati, che si muove da condizioni oggettive, per ragioni socio-politiche e militari, sedimenti antichi, e per errori degli uomini. Ad esempio: chi sono i responsabili principali dell’attuale situazione irakena? Non vi è alcun dubbio che siano stati Bush e Blair, insieme con l’ambiguità dei loro “alleati” nella regione.
Oggi, distinguere come fa il presuntuosissimo professore Edward Luttwak, tra migranti economici e profughi, limitando o negando l’accesso ai primi e accogliendo i secondi, significa non comprendere la reale portata di ciò che sta succedendo, e ripetere il tragico errore della discriminazione. L’Europa è chiamata a un sussulto di civiltà degna della sua grande storia, e non è un caso che l’Italia sia positivamente in prima fila.
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