Che cosa conta la vita di un pastore afgano
…che è il pastore errante dell’Asia del conte Giacomo, che cosa conta di fronte a logiche politiche e militari?
Nulla, perché i droni lo possono colpire in qualsiasi momento e lui sarà solo un “danno collaterale”, presto dimenticato. Ma per i suoi familiari è una tragedia, magari l’unica fonte di sostentamento. Con lui muore il padre il marito il fratello il nonno, ma le cronache non lo ricorderanno.
Lui è morto solo perché si trovava nei pressi di una località dove l’Intelligence aveva “individuato” un covo di armati, inimici, insurgents, talebani, jihadisti, o roba del genere. Roba. Intanto il pastore afgano è morto, e di lui resta solo la flebile memoria familiare e del parentado. Forse i suoi animali, provvisti di psichismo, a loro modo, non vedendolo più, si guarderanno intorno un poco spaesati, privi della presenza rassicurante del padrone con il turbante e il bastone, con cui li metteva in riga e con cui li difendeva dai predatori.
Se gli americani non avessero armato i talebani trent’anni fa, forse il “leone del Panshir”, Massud, avrebbe trovato un accordo con i Sovietici, e Bin Laden non avrebbe avuto lo spazio di attaccare i suoi “amici” americani delle Twin Towers, chissà… epperò la storia non si fa con le ipotetiche.
Mi vien da pensare così dopo che Mario mi ha dato il titolo: che valore ha la vita e la vita umana in particolare? E, tra le vite umane, ad esempio, quella di un pastore afgano, o kazako, o kirghiso, o circasso? Chi conosce il suo nome? Lui ha un nome, forse è un Mohammed, uno dei milioni di Mohammed. Lui è come i nostri morti nelle trincee del Carso, come gli emigranti italiani di Marcinelle e di Mattmark, come gli annegati del Mediterraneo. Vale uguale. Vale anche come Diana Spencer, per cui la regina non voleva spendere una lacrima.
Tutti, i vivi e i morti hanno lo stesso valore, relativo nella dimensione politica, e assoluto in quella affettiva/ divina. Dio ama quel Mohammed come ama ciascuno di noi, io che scrivo qui, e tu che leggi, caro ospite.
Alcuni hanno mausolei e memorie, altri solo un mucchietto di sassi senza nome, o il rotolare di un cespuglio nel vento della steppa.
Quando sarà la resurrezione dei morti, Mohammed, come Giovanni, emigrante da Ariis di Rivignano, soccorso da mio padre perché sepolto sotto una pietra in una cava dell’Assia, saranno in piedi davanti all’Eterno, accanto ai grandi della terra, diventati polvere, frammenti e anime salvate.
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