apparenza, certezza, verità oppure credenza, asserzione, verità? o sono triadi ri-componibili?
Come umani apprendiamo le cose come ci appaiono. I metafisici classici direbbero che vi è un apparire dell’essere (delle cose), e quindi sono in qualche modo “realisti”. Noi siamo certi di apprendere qualcosa se in qualche modo “questo-qualcosa” tocca i nostri sensi o i nostri sentimenti: il rumore o il suono, i colori, gli odori, le parole e il loro significato corrente, le posture umane e animalesche, i micro segnali che provengono dagli altri, e i grandi eventi. Tutto ci appare e poi siamo certi del suo apparire. Vi è un apparire della realtà delle cose e una certezza che siano apparse. Realtà come verità?
Il tema è: se siano vere o meno, ovvero se sia importante definirle come “vere”. Oppure, forse che di fronte all’evidenza non occorre stabilirne la veridicità? Ovvero, ancora, l’evidenza (da ex-videre) è una delle manifestazioni della verità? L’altra è la “comunicazione di notizia” di persona sincera, precisa e affidabile. Questa seconda è, però, sempre sub iudice, necessariamente, per i noti limiti umani.
Dire “La neve è bianca” è la stessa cosa che dire “E’ vero che la neve è bianca?” (cf. Tarski e Rorty) Cioè. l’affermazione della bianchezza aggiunge qualcosa alla constatazione della bianchezza: Aristotele chiamerebbe “bianchezza” l’accidente di un muro (sostanza) dipinto di bianco.
In ogni caso la verità resta un tema posto e non facilmente eludibile: che cos’era la verità astrofisica per Tolomeo? Non certo la stessa di Roberto Grossatesta, Copernico, Galileo, Keplero, Ticho Brahe (un po’ sì), Newton e via elencando…
Ma ai tempi di Tolomeo e fino al XIII secolo la verità astrofisica era quella che si definisce in storia della scienza “aristotelico-tolemaica”, cioè antropocentrica. Si può immaginare che cosa abbia significato, non solo in termini scientifici, ma anche in filosofia, teologia e morale, la scoperta che la terra è uno dei pianeti del sistema solare che ruota attorno alla stella chiamata Sole, e il sistema solare è solamente un piccolo punto di una delle Galassie che popolano a miliardi l’Universo. Allora l’uomo perdette la sua centralità assoluta e divenne un ente autocosciente nell’infinito (cioè nel non finito/ conosciuto).
Che cosa significa ciò, dunque, che la verità è relativa a un tempo e a un luogo? In qualche modo sì e in qualche altro no. E’ relativa in quanto si propone come esito probato nel tempo e nel luogo, ma, in quanto relativa, rinvia ad ulteriori approfondimenti e ricerche. S. Zampieri scrive spesso di “verità locali”, intendendo proprio questa “relatività”, vale a dire un essere-in-relazione-con altro.
Non è relativa se la si pone come struttura essenziale di un ente, che può essere anche (secondo Kant) inconoscibile in sé, ma conoscibile per sé, cioè come manifestazione fenomenica (tautologia) in quanto ente recepibile dai sensi e dall’intelletto umani. Ad esempio la nozione di “bene”. Per i pensatori classici il bene (bonum) era il fine dell’attività umana: tutte le cose sono “bona”, accessibili tramite la sinderesi naturale (tendenza verso il fine buono). La differenza morale sta nel loro esercizio (Aristotele, Agostino, Tommaso d’Aquino) e utilizzo.
Qualche pensatore contemporaneo, come i sopra citati Rorty e Tarski può anche sostenere che , a questo punto, non interessa molto cercare la verità de-finitiva, cioè che definisce se stessa come insuperabile asserzione giustificata da certezza, sincerità e completezza.
Ma vi è un campo, quello etico, laddove la filosofia contemporanea, a volte erede di una sorta di semplificazione delle idee di Emerson e di Nietzsche (una specie di nihilismo pratico) specie dei su nominati, e anche del grande Wittgenstein, non funziona molto.
Se dire “La neve è bianca”, oppure affermarne la veridicità non cambia molto la storia del mondo, dire invece “La tortura non è male, oppure (indifferentemente) è male”, cambia, e molto, la storia del mondo. In ambito etico siamo tenuti a cercare e a rispettare quella che riteniamo essere un bene, che allora si configura come vero.
Ho scritto qui sopra “riteniamo essere un bene”, ma allora anche il bene morale è soggettivo (“riteniamo”)? In qualche modo sì, ma possiamo pensare che la Natura e Dio stesso ci abbiamo fatto crescere interiormente una sorta di ordinatio rationis, ovvero una lex aeterna in rationali creatura“, ovvero… siano stati il caso e la necessità? (G. Giorello, T. Pievani. P. Odifreddi, M. Hack…)
Ma io non ci credo. Credo invece alla possibilità di accedere umilmente a una verità morale che coincide con la retta coscienza di fare il bene, anche se questo bene può essere nascosto e difficile da cogliere.
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