Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

locutori a vanvera

vanveraVi è un acronimo tratto dalle scienze logistiche: L.I.F.O., cioè Last In First Out, che dice in sintesi un comportamento colloquiale di non pochi, quelli che ascoltano e credono sempre all’ultimo che gli parla, cambiando opinione di volta in volta. Se ti capita di incontrarli, cerca di essere l’ultimo a parlargli, in vista di una decisione, perché se ti capita di essere il penultimo, chi ti seguirà, anche se sostiene una tesi infondata, rischia di aver ragione da parte dell’interlocutore. E a volte guai se questo interlocutore è anche un “decisore”.

Un altro genere di persone, spesso anziane, è quella di coloro che parlano per sentito dire, perché “l’ha detto la televisione”, o nascondendosi dietro un “dicono”, “ho sentito che…”, e non sentono ragioni se gli spieghi che credono in fandonie o pure invenzioni, anche se magari tu sei un esperto del tema in questione. Qui vale il toscanismo cinquecentesco del “parlare a vanvera”.

Un terzo genere di persone è quello che parla perché l’ha sentito da qualcuno di autorevole, un divulgatore, un docente, un guru di qualcosa, e allora, non possedendo personalmente una cultura sistematica e strutturata, costituisce la tesi creduta come assoluta e riferimento centrale della propria conoscenza. Capita spesso a discenti di tutte le età. Faccio un esempio: se uno fa un corso di archeologia antica, magari del periodo paleocristiano con un professore agnostico, imparerà forse che Gesù di Nazaret, così come viene presentato dalla tradizione evangelica, non è (potrebbe non essere) mai esistito, perché non ci sono prove storico-documentali e archeologiche che lo attestino. In questo caso una tesi archeologica prevale su tutta l’immensa storia dell’Occidente da duemila anni, che sono, in qualche modo, una grande chiosa alla presenza di questo ingombrante personaggio galileo. Duemila anni di storia vanificati da un archeologo! Ma dai. A quasi nulla vale dirgli che per parlare di Gesù (detto il Cristo) o anche semplicemente del galileo figlio di Josef e Mariam, occorre interpellare una dozzina di scienze che operano interdisciplinarmente: l’archeologia, appunto, ma anche l’esegesi biblica, la critica testuale, la sociologia e il diritto giudaici, la letteratura paolina, la storia romana, scrittori come Giuseppe Flavio, Svetonio, Tacito, Plinio il Vecchio, Filone e Clemente Alessandrino, etc., e poi la Patrologia apostolica e apologetica (Policarpo di Smirne e Ignazio di Antiochia, Giustino, Taziano e Ireneo, Origene e Girolamo, Agostino e Basilio di Cesarea, i due Gregorio di Nazianzo e di Nissa, Teodoro di Mopsuestia e Giovanni Crisostomo, Apollinare di Laodicea, Nestorio ed Eutiche, per tacer degli altri), e molto altro… e che bisogna essere un po’ ferrati in ciascuna di queste discipline per parlare del rabbi nazareno.

Un quarto genere di persone è convinto che la cultura scientifica sia nata con Galileo o addirittura con gli illuministi, concependo la scienza solo come sapere sulla matematica e sulla natura: ad esempio, per costoro le dottrine evoluzionistiche partono indefettibilmente da Lamarck e Darwin, ma ignorano che il primo grande teorico evoluzionista è stato il filosofo Eraclito di Samo, attivo duemila e quattrocento anni prima degli scienziati ottocenteschi citati. Bisogna spiegare a costoro che è scienza ogni sapere strutturato e metodico sull’uomo e sulla natura, e che sono scienziati, sia i biologi, sia i filologi!

Tutte queste persone solitamente non hanno una cultura di base fondata e strutturata su un “albero della conoscenza” sufficientemente ampio, e quindi tendono a parlare estrapolando conoscenze parziali senza saperle/ poterle collocare in un contesto epistemologico serio. Di solito si entusiasmano per Superquark, rischiando di avere una qualche attenzione anche per Voyager et similia, cioè dell’abominio della desolazione della divulgazione pseudo-scientifica italiana.

Per tutti questi costoro invoco il detto del grande, saggio e umile Ludwig Wittgenstein “di ciò che non si sa (o si sa solo un pochino, ndr) si taccia“.

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