giudizio critico, piacere estetico e soggettività: dal “è bello” al “mi piace”, e loro contrari
E’ sempre legittimo dire di qualcosa, un quadro, una statua, un palazzo, un pezzo musicale, un’auto, “mi piace” o ” non mi piace”; non è sempre legittimo dire “è favoloso, insuperabile, et superlativi a iosa (spesso a vanvera), oppure, è una schifezza, bestialità, etc.”, specialmente se chi si esprime non ha particolari conoscenze dell’argomento.
Confesso che anche a me scappa di dire, pur non essendo un critico o uno storico dell’arte, che la Gioconda di Leonardo mi annoia e la ritengo ampiamente sopravvalutata, e che quando mi son trovato nella sala del Louvre dove è collocata, ho girato -con non celata enfasi- le spalle al quadro e alla folla adorante che non vede nulla, e mi sono rivolto al gigantesco e splendido dipinto di Paolo Caliari (il Veronese) de Le nozze di Cana. Il fatto è che non pochi esperti da me interpellati mi hanno dato ragione, attribuendo l’abnorme fama del quadro leonardesco, più che alle sue intrinseche qualità artistiche, peraltro superate in altre opere del grande maestro, alla mediatizzazione quasi “misterica” che nel tempo ha avuto. Bene, un altro esempio: i Pink Floyd. Per me sono finiti con The dark side of the moon, ma altri si entusiasmano anche per i loro concerti devastanti (vedi Venezia di non ricordo quando). Un musicante professionale mi dà ragione aggiungendo che sono molto “furbi” e ripetitivi fino a diventare stucchevoli. Per me, se voglio sentire suoni “barocchi” mi rivolgo direttamente a Vivaldi, a Haendel o addirittura al sommo Kantor di Eisenach e Lipsia. Ai Pink preferisco di gran lunga Hendrix, Clapton, Stevie Winwood e Knopfler, non trascurando B.B. King, Otis Redding e Aretha.
Il discorso sul “bello” risale in Occidente alla grande filosofia greca, all’estetica platonico-aristotelica, che definiva il “bello” come trascendentale, così come l’uno, il vero e il bene. Per Platone il bello è commisurato all’armonia delle forme e alle proporzioni (la divina proportio): si pensi ai bronzi di Riace, al discobolo di Mirone, alla Nike di Samotracia, al David di Michelangelo, al giovane Aristotele di Rodin. Io ho utilizzato questo termine per spiegare a mia figlia l’assurdità dei jeans a vita bassa, quando era tentata di provarli verso i quindici anni. L’ho portata alla Loggia del Bigallo a Firenze e poi dietro alla statua del Perseo di Cellini, mostrandole il rapporto misurabile sulla figura bronzea del mitico eroe: le ho detto “Vedi Bea, se misuri la statua dal tallone alla vita e dalla vita al sommo della testa, vedrai che le misure corrispondono, ed è anche per questo che il muscoloso corpo dell’eroe mitico ti sembra “bello”; se tu indossi i jeans a vita bassa, questi ti “accorceranno” le gambe e, pur essendo longilinea, apparirai sproporzionata“. Non ha usato più jeans a vita bassa.
Poi, qualcuno può apprezzare anche le donne di Botero, libero di farlo, io non le apprezzo.
Quello che conta è che bisogna distinguere tra il giudizio estetico (come ben spiega Kant ne La Critica del Giudizio) possibilmente competente e pertanto più oggettivo, e il giudizio soggettivo, che è libero, e pertanto più opinabile.
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