Sincerità e dissimulazione
Uno, nessuno, centomila è forse l’opera pirandelliana più nota al mondo. Chi siamo? Uno, nessuno, centomila? Quale è il nostro io/ sé più vero, se la domanda è plausibile? O è una domanda semi-retorica? Essere uno, nessuno, due, tre o centomila si può dare?
Gli antichi teatranti greco-latini si mettevano una maschera per-sonare, cioè per amplificare la voce nella cavea del teatro e così farsi sentire anche dagli spettatori più distanti. Gli attori si mascheravano. La tradizione antropologico-filosofica paleo-cristiana ha poi mutuato il lemma verbale per-sonare codificando il termine “persona” per dire individuo umano provvisto di intelletto, volontà e coscienza. La persona, parola che noi usiamo correntemente, a volte confondendola con “individuo”, che però non è sinonimo: individuo è, infatti, ogni vivente, pianta o animale-non-umano, e significa letteralmente “non divisibile”.
La psicologia contemporanea si è chiesta molte volte nelle sue diverse declinazioni e “scuole” se la “persona” sia una sorta di monolite immodificabile, una volta strutturata la personalità alla fine dell’età evolutiva (cf. ad esempio, Piaget, Winnicott, Bowlby), o se la personalità stessa possa manifestarsi in diversi modi, senza tradirne la struttura fondamentale. E se, nel caso in cui si diano più manifestazioni di una singola personalità, si possa parlare di dissimulazione, di insincerità, o addirittura di falsità e menzogna.
Nelle psicosi (cf. Manuale Medico Diagnostico IV e V) si descrivono i disturbi dissociativi della personalità e le sindromi schizoidi, ma… nella quotidianità ci capita di comportarci in modo radicalmente diverso a seconda delle situazioni? Ovviamente la domanda è retorica, perché se così non fosse potremmo essere considerati psicologicamente problematici e sicuramente ci creeremmo non pochi problemi relazionali. Appunto.
Nella vita reale tutti impariamo a comportarci e a modulare le nostre espressioni corporee e verbali adeguandole alle situazioni e agli interlocutori. Non parliamo nello stesso modo con un nostro collega di lavoro o con il datore di lavoro; con un amico o con uno sconosciuto; con un cliente o con un fornitore, con un medico o, se siamo noi stessi medico, con un paziente, e così via…
Se così è, si può dire legittimo indossare metaforicamente anche delle “maschere espressive” a seconda delle situazioni e dei momenti. Bene. Dove allora può sorgere il problema dell’insincerità e della dissimulazione? Certamente può sorgere quando qualcuno, sistematicamente, più che adattare le proprie espressioni al senso di opportunità, al decoro e alle diverse interlocuzioni, approfitta della propria esercitata capacità affabulatoria per dissimulare, se non per falsificare le cose e i fatti, o addirittura manipolare gli altri. La sincerità si declina anche nelle situazioni mediate dalla “maschera”, e contribuisce alla ricerca della verità, di cui la sincerità è componente essenziale.
E’ lecito quindi modulare le proprie espressioni per dei fini onesti, mentre è vergognoso e disonesto dissimulare insinceramente a proprio vantaggio e a danno altrui.
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