Il “paternalismo solidale”
Nel momento in cui apprendiamo che una sessantina di persone, da Bill Gates in giù, possiedono tanto quanto 3 miliardi e mezzo di esseri umani, ci si chiede a che punto siamo in ragione del principio di giustizia distributiva delle risorse del mondo. Nulla da dire sul merito che alcuni di questi grandi personaggi, dai quali escluderei gli ereditieri, hanno acquisito per capacità, lungimiranza e forza creativa, ma il tema del divario tra chi ha “troppo” e chi non ha di che sopravvivere si pone. Si può dire che questa “ingiustizia” radicale è anche forse il principale fomite delle guerre e minaccia per ogni tipo di pace. Non c’è pace senza giustizia, lo sappiamo dai tempi dei nostri Antichi.
Su questo tema l’uomo si è esercitato in dottrine e prassi (Aristotele, Vangeli, Buddhismo, Kant…), realizzando nel tempo, in modo diacronico, qualche passo in avanti, ma spesso contraddicendosi, nei fatti, anche in nome di teorie economico-politiche “comunitarie” o comunistiche.
Anche ai nostri tempi sussistono contraddizioni clamorose e a volte insopportabili, tra estreme povertà e smisurate ricchezze.
Una domanda che si fanno in molti, addetti ai lavori e non: esiste un modello economico più adatto degli altri a creare giustizia, o quantomeno a favorirla? Forse, andando per successive approssimazioni, per prove ed errori, osservando i processi e i fenomeni accaduti, si può dire che funziona di più il modello partecipativo di un’economia di mercato a connotazione di welfare solidale, un po’ come in Italia e Germania, non come negli USA e tantomeno come nelle nazioni meno sviluppate, dove spesso lo sfruttamento di lavoratori e minori è inaccettabile.
Nel “modello misto” le cose funzionano meglio anche perché si creano naturalmente, a volte, insospettabili spazi partecipativi, perfino di tipo filantropico e paternalistico-solidale, laddove il “padrone”, a differenza delle proprietà anonime (fondi e finanziarie), riesce ad intervenire tempestivamente in modo da tutelare con sobria dignità, in particolare, i propri dipendenti più fragili.
Ne posso testimoniare l’esistenza con la mia presenza quotidiana in aziende importanti di questo Nordest italiano friulo-veneto, attivo e silenzioso, capace di rimboccarsi le maniche, invece di darsi a geremiadi e lamentazioni, come in altre parti di questa nostra Patria italica, amatissima, nonostante tutto.
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