Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

La “sindrome di Clinton”

domenico-de-masiLa paternità del titolo è del sociologo Domenico De Masi, che mi è molto simpatico. Interpellato per radio sullo smart working, ha amabilmente rampognato l’intervistatore suggerendogli di dire telelavoro, in italiano, non smart etc., ché già subiamo in ogni momento anglicismi a profusione.

Soffermatosi a spiegare per quale ragione il “lavoro da casa” non prende piede in Italia, cioè non funziona, ha tirato fuori la divertentissima espressione “sindrome di Clinton”. Secondo lui, una delle ragioni per cui questo modo di lavorare non decolla, dipende dal fatto che ogni capo italiano non può fare a meno di una… stagista.

De Masi è divertente, e sa di forzare la mano quando semplifica in questo modo.

In realtà, stanti i modelli organizzativi attuali, ben poche attività sono realizzabili da “remoto”, da casa, perché le attività stesse sono diventate sempre più  complicate e interconnesse, per cui è difficile staccare un elemento dal composito processo in atto per ognuna, sia di area o di reparto, d’ufficio o  di stabilimento.

D’accordo che si dovrebbe lavorare sempre di più per obiettivi chiari e condivisi, piuttosto che focalizzarsi sui micro-passaggio e sui flussi del processo di produzione o di servizio, ma l’organizzazione non può essere fluidificata e resa efficiente, in generale, se non “in presenza” del lavoratore. Questo vale ancora quasi in assoluto per la manifattura, ma anche per la vendita e le attività di supporto. Potrebbero essere controllati, e lo sono già in parte, per via telematica, grandi impianti a ciclo continuo di settori come il chimico o l’energetico.

Non è comunque da sottovalutare la scherzosa citazione di De Masi, cui vanno aggiunti, almeno per l’Italia ulteriori elementi di tradizione lavorativa, che privilegiano l’esecuzione collettiva delle attività, se pure in strutture più snelle del passato.

Quello che può interessarci è l’approfondimento delle possibilità di telelavoro, almeno nelle attività di supporto, di formazione, docenza, informazione e stesura di documenti e progetti. Resto comunque dell’idea che sia meglio, alla fine, condividere uno spazio fisico e confrontarsi dal vivo, realizzando un dialogo interpersonale rispettoso e documentato, per approvare lavori fatti, le  sue implementazioni e progetti futuri.

Personalmente, almeno ogni qualche tempo, a me piace guardare in viso e sentire la voce di chi lavora con me. E Bill Clinton non c’entra nulla.

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