La noia mortale
“Volevamo uccidere qualcuno solo per vedere che effetto fa“. È l’agghiacciante confessione di Manuel Foffo al pm Francesco Scavo. (dal web)
“Spogliato, seviziato. E poi, accoltellato e finito a martellate. È stato ritrovato nudo in camera da letto, molte ore dopo la morte, con numerose ferite sul corpo, Luca Varani, il ragazzo di 23 anni, ucciso da due universitari la notte tra sabato e domenica in un appartamento alla periferia di Roma, nel quartiere Collatino. Un massacro che si è svolto durante un festino a base di alcol e cocaina. (…) Gli autori: Manuel Foffo, un 29enne iscritto alla facoltà di Giurisprudenza e figlio di ristoratori, e il complice 30enne, Marco Prato, anche lui un universitario, che si era rifugiato in un albergo nella zona di piazza Bologna dove ha tentato il suicidio ingerendo barbiturici. Il ragazzo, salvato grazie a una lavanda gastrica, è ora piantonato in ospedale. (…)” (dal web)
Interrogati dal PM non ricordano, ricordano solo di essere usciti per sballarsi e provare a vedere “cosa si prova a uccidere qualcuno“, e, prima di aggredire la loro vittima hanno tentato di adescare altri ventitré ragazzi, come risulta dai tabulati telefonici.
Verrebbe da dire che non si sa che cosa dire. Il padre di uno dei due è sconcertato, per dirla così come la riportano i media, ma non riesco a immaginare che cosa gli passi per la testa. Siamo di fronte al delitto assurdo, perché sappiamo bene darsi anche il delitto non assurdo, quello premeditato là dove l’uccisore pensa e progetta, e anche quello volontario, più o meno d’impeto.
La responsabilità viene poi analizzata e considerata ai fini del diritto penale e delle sanzioni previste. Le neuro-scienze, la psico-neurologia e la neuro-etica oggi dibattono su questo tema oscillando tra due estremi, come ho più volte fatto cenno in questo sito, l’estremo volontaristico psicologico e l’estremo bio-determinista.
Il primo tende a responsabilizzare integralmente l’atto “liberamente” compiuto, prevedendone le conseguenze penali, il secondo tende a dare una risposta quasi contraria, di de-responsabilizzazione più o meno ampia.
Vi è poi il caso di assassini che operano sotto l’influenza di droghe, e quindi in condizioni psichicamente alterate, come qui. E, in questo caso non sembrano esserci dubbi sulla responsabilità degli attori-agenti-autori dell’atto turpissimo e disumano, perché hanno deciso prima di compierlo di mettersi nelle condizioni di alterazione, addirittura rifornendosi di sostanze atte ad abbassare il livello di controllo degli atti e i freni inibitori, annullando momentaneamente la coscienza, per andare fino in fondo. In un certo senso anche chi beve forte e poi si mette alla guida della propria auto e uccide un passante, ha a che fare con una certa assunzione di responsabilità e quindi di pre-accettazione della sanzione, oggi configurata nell’omicidio stradale.
Ora mi chiedo che cosa abbiano nella testa i due bestioni assassini, mentre ora si stanno accusando a vicenda, e che pena meriterebbero… I padri e i teologi classici parlavano di accidia come vizio (cf. Evagrio Pontico, Sant’Agostino, San Gregorio Magno, San Tommaso d’Aquino) della noia mortale o di tristitia, la tristezza, da non confondere mai con la malinconia, vizi che portano l’anima a disumanizzarsi e a perdersi. L’accidia e la tristezza sono fomiti e sintomo di un grave impoverimento spirituale e psichico, tale da portare chi se ne lascia dominare anche fino al compimento di atti estremi. La noia come condizione e il delitto come antidoto, da cui, però, ci si sveglia presto disperati.
« L’Accidia una freddura,
ce reca senza mesura,
posta ‘n estrema paura,
co la mente alienata »
(Jacopone da Todi, Laudi – Trattato e Detti, a cura di Franca Ageno, ed. Le Monnier, Firenze 1953)
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