Una storia immensa e un’ultima idiozia
Si parla spesso con Mario dell’Impero romano e dei grandi sovrani, di come ciascuno di questi fosse stato importante soprattutto per avere saputo circondarsi sempre di grandi persone. Si pensi all’imperatore Cesare Augusto, a Federico secondo di Svevia, a re Davide d’Israele, a Giuseppe secondo d’Asburgo e a sua madre Maria Teresa, a Carlo Magno, a Giulio secondo papa, al Figlio del Cielo Wan-Li, a Federico di Prussia, a Ciro il Grande, a Salah el-Din, a Solimano il Magnifico, a Filippo e Alessandro di Macedonia, a Carlo quinto d’Asburgo e via dicendo. Virgilio, Mecenate, Pier delle Vigne, il profeta Nathan, Mozart, Alcuino e Paolo Diacono, san Francesco, Michelangelo, Raffaello e Bramante, padre Matteo Ricci, Voltaire, astronomi e matematici, medici e filosofi, Aristotele tra questi, e ancora… via dicendo.
In questo meraviglioso succedersi di storia umana, tra crescite culturali e sociali e anche guerre e atrocità, l’uomo ha manifestato tutta la sua ambigua grandezza. Se vogliamo fare un paragone con l’oggi, il risultato è impietoso. Di fronte a Ciro il Grande si staglia Al Bagdadi, di fronte ad Alessandro Magno, Tzipras, di fronte ad Augusto, non dico Renzi, ma Obama, che comunque è meglio di Bush, di fronte a Solimano, Erdogan, di fronte al Saladino, Bashar Assad, di fronte a Maria Teresa, la cancelliera Merkel, di fronte a Carlo Magno, Hollande (!!!), di fronte a Carlo quinto, re Felipe di Borbone, di fronte a Federico secondo di Svevia, stupor mundi, nessuno.
La grandezza di molta parte del passato, e ci fermiamo all’Occidente solo per brevità, è impressionante e in gran parte dimenticata. Soprattutto l’Impero Romano, che portò strade, commerci, cultura greco-latina, il diritto e il federalismo in tutto il mondo occidentale e vicino-orientale per un millennio e mezzo.
Mentre invece si pronunzian parole latine all’inglese (plus e minus diventano plas e minas, povera Italia!), o si parla inglese male, a cura di sé-putanti guru dell’innovazione non solo tecnico-scientifica, ma anche culturale, come mi è capitato di ascoltare a un importante convegno pochi giorni fa. E il nome di tanto (ironicamente “alla latina”, questo è evidente) cantore qui taccio pro humana caritate: un imprenditore si è messo a sillogizzar verbosi lemmi, sostenendo che ora oramai, più che interessare il Quoziente Intellettivo (il celeberrimo QI), è diventato importante il Quoziente Empatico (QE, pronunziato, però Qiu I). Ma va là.
In realtà si tratta di un’enfasi modaiola mal digerita a qualche convegno international, e quindi mal posta in un contesto italiano che conosce benissimo la complessità dell’essere umano, la sua struttura antropologica e personologica, e infine le sue qualità e difettosità morali. I grandi sovrani di un tempo sapevano valutare il valore delle persone e se ne circondavano, mentre i mediocri politici odierni temono la qualità delle persone che potrebbero farli diventare grandi e le tengono alla larga, provare per credere. Invece nel mondo delle imprese a volte accade che si compongano chimismi straordinari, integrazioni e collaborazioni capaci di far fare e condividere sviluppo e crescita umana e professionale a molti, se non a tutti. Non c’è stato solo Olivetti, ma una miriade di altri, a volte sconosciuti, che hanno realizzato e stanno realizzando nuovi “rinascimenti”.
L’unica strada da percorrere, se si vuole che un organismo umano cresca, è quella del riconoscimento di ognuno come “unico”: solo così si costituiscono i gruppi che fanno strada (aborro il termine “vincenti”), dalla falange macedone, all’esercito romano, ai diaconi di san Paolo, a missionari come il padre Ricci, a scienziati come Einstein e Fabiola Gianotti, a militari come Samantha Cristoforetti e il generale Petraeus, troppo presto congedato.
Unici e irriducibilmente soggetti, all’occidentale, ebbene sì, lo dico, altro che atman, scintille di divino, ma tanti “io” umani e, per chi crede, fatti a immagine di Dio.
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