Discorsi, espressione, linguaggio senza ossigeno… e con
Non so se è perché sono stanco, o perché sto invecchiando, ma sopporto sempre meno discorsi insulsi e ripetitivi e cifre espressive banali o stereotipate. Non ce la faccio più, devo fuggire, oppure, se non posso fuggire, considero il tempo che mi permetterà di evitare certe frequentazioni, consolandomi un poco. Tra un paio di anni, o poco più, sarò in pensione e così potrò selezionarle meglio. Continuerò a lavorare perché faccio cose belle e interessanti, ma a certe condizioni, e non a tutte.
Poniamo che sia stanco e che stia anche invecchiando, non sono pure ipotesi, sono una lettura realistica della mia situazione attuale. Però, mi dicono, invecchio molto lentamente e non cognitivamente. Speriamo ben.
Ma non sono solo stanco e in età: effettivamente molti discorsi che mi tocca di ascoltare sono banali, stancanti e ripetitivi: spesso monografie autoreferenziali e inutili. L’ultima a un convegno dove ero co-relatore con un insigne studioso di psicologia sociale, capace di dichiarare che il più grande male delle relazioni interpersonali contemporanee è l’autoreferenzialità, salvo poi parlare per un’ora quasi solo di se stesso, della propria carriera e famiglia.
Oppure, più spesso, in contesti più attigui, dove il tema gastro-culinario è l’unico, o quasi.
Poi, in ambiti lavorativi, dove chi prende la parola la usa spesso essenzialmente perché ha l’apparto fonatorio ben funzionante, non per molte altre ragioni.
Sento discorsi che non sono discorsi, ma un blaterare a vanvera, tanto perché si deve dire qualcosa, ascolto espressioni approssimative e sgradevoli all’udito, e linguaggi sciapi e bolsamente stantii.
Sento argomenti che non sono tali, ma solo un dare aria alla bocca, ascolto lemmi e costrutti espressivi perfettamente illogici e quindi inutili, e modalità linguistiche ripetitive e sciocche.
Pur selezionando la tv, a volte non riesco a evitare affermazioni completamente infondate, approssimative e non documentate, titoli gridati enfaticamente solo per sopraffare sia pure un mero barlume riflessivo negli astanti.
Nei dialoghi quotidiani, nonostante mi trovi in contesti molto seri e impegnativi, non è raro dover fare uno sforzo quasi di decrittazione delle intenzioni espressive. E, in tutti questi ambiti manca, vorrei dire, quasi l’ossigeno.
Meno male che ve ne sono altri, anche di fatica domenicale, come il seminario mestrino di stamani, in Phronesis, con colleghi giovani in formazione e men giovani. Lì il linguaggio, i discorsi e l’espressione sono stati ricchi, variegati, e rispettosi di ogni posizione: nessuno ha bastonato il pensatore realista perché tale (come me ), o quello analitico, o l’ermeneutico, o l’hegeliano, o il fenomenologo, o il neo-platonico, perché tutti abbiamo cercato la cifra del dialogo tra diversi, discutendo della crisi generale e di come il filosofo pratico possa dare una mano alle persone, per comprendere le cose, il loro senso e la fatica della verità. Per migliorare le vite, accettando la gioia come passaggio, e il dolore allo stesso modo.
Ecco allora che il discorso, l’espressione e il linguaggio diventano luogo dove l’ossigeno spirituale abbonda, e gli esseri umani possono intessere il dialogo fondamentale del riconoscimento reciproco, nella relazione rispettosa e piena di attenzione, dove l’ideologia e i discorsi pigramente confezionati, i pre-giudizi e le convenzioni opportunistiche non trovano spazio.
Grazie a Dio, e all’umiltà dello studio, della ricerca e dell’ascolto.
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