Fratello laico, “Marco” Giacinto da Teramo, angelo necessario
Come sempre, quando qualcuno muore, si tessono lodi e si intonano salmi e peana. Anche stavolta, un profluvio di interviste, articolesse, elzeviri su Marco da Teramo, “eroe civile”, e altri sintagmi spreconi. E insopportabili laudationes post mortem.
In questa congerie di noiosissimi prevedibilissimi scritti, ricordo soprattutto un aspetto: Pannella, uomo testardo, arrogante, perfin superbo e vanesio della sua figura, voce bellissima, intelligenza e cultura non poco affilate, si è occupato della res publica con generosità e disinteresse personale, quasi solo, o in compagnia di assai pochi, in un contesto di interessi intrecciati e di roboanti proclami democratici raramente rispondenti alle reali intenzioni dei parlanti o bofonchianti proposte politiche e amministratori.
Un altro suo merito, in mezzo a svarioni macroscopici (come la candidatura di quel vigliacco di Toni Negri), è stato quello di sottolineare l’importanza dell’individuo/ persona, in un mezzo secolo in cui contava, a destra-sinistra-centro quasi solamente il “collettivo”, fosse nazione, classe o comunità.
Liberale e libertario, ha recuperato tra John Locke e un afflato teologico cristiano mai dimenticato, la nozione dell’unicità di ciascuno, tra i molti, della sua dignità irriducibile e dei diritti correlati a questo valore fondativo, ma quasi come un “angelo laico”, necessario a segnalare l’ottundimento di ogni clericalismo, compreso quello comunista.
Non ho condiviso alcune sue battaglie, come quella sull’eutanasia, ma molto quelle sulla fame, sulla distribuzione dei beni, sul diritto alla conoscenza, per lo stato di diritto, per la giustizia giusta, unico a difendere Enzo Tortora quando magistratura e stampa lo crocifiggevano, innocente, contro la pena di morte, per i diritti umani dei carcerati, per l’esilio di Saddam Hussein ad bellum vitandum, inascoltato, asceta e mistico a modo suo, quasi un frate laico, capace di peccare e di credere, protestante e luterano in corde, però non pessimista, ma realista sulla natura umana, forse lettore delle agostiniane Retractationes, ultimo pensiero del vecchio vescovo-filosofo.
Il suo tempo, come amava dire, non era quello della politica spicciola, ma, un poco presuntuosamente, quello della storia, delle sue lunghe derive, ampie come l’onda oceanica che si spegne dentro la baia di San Francisco lambendo Alcatraz. Aveva ragione.
Sui diritti civili ha combattuto battaglie aspre, corpore vili animaque, forse non spiegando sempre bene, ed era nelle sue corde, che divorzio e aborto sono due mali, due dolori, non solo questioni da regolamentare con la legge. In qualche occasione lo ha detto, e chiaramente, a differenza di ciò che fanno i rètori dei diritti su tutto e a tutti i costi, quelli che scambiano i loro desideri e a volte i loro capricci per diritti (cf. Vendola e c.).
Lo ricordo con l’immagine di un selvatico carpita nel Parco delle Risorgive, in quel di Codroipo, qualche dì orsono, perché mi ricorda la sua selvatichezza naturale, la sua verità.
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