Dì loro che la mia fronte/ è stata bruciata/ là dove mi baciavano (C. Alvaro)
cammino sulle orme del tenente Rommel.
Lungo e tortuoso è il sentiero della memoria sullo spalto di confine del Kolovrat, Prealpe Giulia da cui i Turco-Bosniaci entravano a fine ‘400 fin nella pianura del Friuli, e prima di loro gli Unni, gli Avari, gli Ungari. Terra di Confine. Kobarid e lo smeraldino fiume, in fondo.
Combattimenti come “via crucis” ignote ai presuntuosi imbelli generali italiani, disonore sia su Cadorna il fucilatore e Badoglio l’inetto. Trincee ovunque, dove c’era fango e paura, speranza e terrore. Una lapide riporta la breve terzina di un soldato caduto: il suo spirito canta a mamma e papà “Dì loro che la mia fronte/ è stata bruciata/ dove loro mi baciavano”.
L’alpino Riccardo Di Giusto moriva qui il 24 o il 25 maggio del ’15, prima vittima della Grande Guerra Italiana, un cippo lo ricorda. Si possono evitare le guerre? Tutte le guerre?
Il 24 ottobre 1917 iniziava la XII battaglia dell’Isonzo e gli Austro-Ungarici, con l’aiuto di reparti germanici provenienti dal Monte Nero, forzavano la fronte dell’acrocoro al passo di Zagradan. Il tenente Rommel era lì, il generale Cadorna in panciolle a Udine.
Alle 9,15 il reparto di Rommel rompe gli indugi e sfonda di sorpresa la linea difensiva italiana, così riportando i fatti: “…la pattuglia Streicher mi invia la seguente segnalazione: pattuglia penetrata, …conquistato cannoni ,… fatto prigionieri. Considerazioni: la penetrazione riuscì perché gli italiani non sorvegliavano con sufficiente attenzione il terreno antistante la loro terza linea…”.
A questo punto il distaccamento Rommel entra in forza nella sella e lasciata una squadra mitragliatrici pesanti a protezione e controllo verso est, iniziò ad avanzare su tre colonne, a sud lungo la strada sulla dorsale, e sul versante nord in direzione ovest verso la quota 1192 del monte Nagnoj, che cadrà un’ora dopo circa. (Tratto dalla segnaletica storica in loco).
Trovo foto in bianco e nero della Grande Guerra, mescolate a depliant delle Valli favolose, nei rari locali, osterie, rifugi della montagna verdissima del Confine.
Anacoreta laicissimo, me ne sto qualche giorno qui, cogitabondo, nel silenzio più alto, in ricerca del poco che basta per la vita. Solo del Principio Ordinatore, e di Dio che lo ispira.
Borgate sparse sul crinale mi indicano il senso della valle e delle vite spese nei secoli sui declivi ardui, lavorati a terrazzo con fatica asperrima. Famiglie e suoni, vagiti di bimbi e benedizioni dei morti sulla montagna. Lingua di confine, aspra e legame con le grandi pianure sarmatiche. Un che di slavo e di russo, pieno di silenzi e di sentimento. Vengono dagli abissi del tempo e sono presenti nell’eterno contenitore del tempo. Ora e sempre, ora e per sempre, pregano e gioiscono della pienezza del Tempo.
Vivo questa fase dell’essere che ha voluto fossi qui, ora, non prima e non dopo, a cercare quello che esiste da sempre in mente Dei, anche se pensiamo di poter farne a meno. Potentia Dei ordinata dall‘eterno lògos che governa tutto e totalmente, anche quello che riteniamo ci appartenga, ma ci appartiene solo accidentalmente.
Sono tornato dov’ero già stato.
E’ lo spirito che si manifesta nel pensiero e nell’agire, nella volontà e nell’intelletto. Tutto è già nell’ordine cosmico, a partire dalle micro particelle-onde subatomiche, agli atomi, molecole, cellule, composti viventi, sensibili, pensanti, spirituali. Tutto è kòsmos, necessario e armonioso, mai casuale, caro Heisenberg. Indeterminato, perché forse siamo noi a non comprendere ciò che non può essere compreso, la complessità, con i suoi nessi inspiegabili (spiegare è un togliere-le-pieghe, come di un lenzuolo): solo interpretar comprendendo, possiamo, tutt’alpiù…
Ho camminato verso la cima boscosa del monte Hum e poi volevo andare alle cascate di Kot formate dal Potok, acque che finiranno nell’Erbezzo e poi nel Natisone, nel Torre, nell’Isonzo, nel mare. La pioggia me lo ha impedito, ma ci andrò nel tempo opportuno, nel kairòs.
A Hostne una lapide ricorda i Primosig, i Floreancig, gli Iurman, i Feletig, i Crucil, i Dreszach e altri, portati via a morire dal IX Corpus titino nell’estate del ’43. Cos’erano, fascisti o valligiani? La scritta su un bivacco in rovina sul monte Hum, “W Gladio”. Storia nostra, controversa, come la strutturazione progressiva dell’essere delle cose, e del loro senso.
Ma le acque sono cristalline, limpidissime, come i pensieri che vengono quassù. Non so quanta verità e sapienza ho incontrato nella mia vita, a volte mi pento di non aver pensato/ agito abbastanza, di non aver soprasseduto, perdonato, cioè donato, compreso fino in fondo i doni ricevuti nel tempo, e in questi tre giorni beati, e poi mi consolo dicendo che forse è stato giusto così, nell’infinito mare dell’essere di cui faccio parte da 13.7 miliardi di anni e per sempre. Ma in Dio, da sempre.
E la coscienza mi parla, leggera, nel silenzio.
Post correlati
0 Comments