L’odio della vita e la violenza
L’episodio di Orlando richiama ancora il tema dell’odio e della violenza. Che sia o meno violenza anche di matrice islamista, e questo afgano-americano sembra forse confermarlo, occorre soffermarsi anche sulla violenza in sé, che è e resta -per ora- intrinseca all’umano, anche come patologia psichica.
Oltre ricordare i grandi eccidi legati alla contemporaneità (ad esempio nessuno tiene un conto delle stragi provocate dagli attentati islamisti nelle nazioni islamiche, che sono di gran lunga più numerose e causa di vittime), mi è venuta in mente la strage di Mi-Lay, in Vetnam, 16 marzo 1968, tenente Calley, l’autore, 347 morti uccisi tra donne vecchi, bambini e neonati; o quella di Amritsar in India il 16 aprile 1919, quando truppe inglesi e gurkha uccisero 1.516 partecipanti a un comizio politico.
E anche Tessalonica, 7.000 morti, uccisi per ordine dell’imperatore Teodosio, 390 d. C.; Parigi, dove tra il 23 e il 24 agosto 1572 Ugonotti (protestanti) furono massacrati in un numero tra 5 e 20.000 (strage di san Bartolomeo); l’armata del generale inglese Elphinstone, che fu massacrata in Afganistan, dove persero la vita circa 16.500 soldati; Pontelandolfo nel 1861, con centinaia di cittadini fucilati dal Regio esercito italiano (piemontese); Nanchino: i Giapponesi nel 1837 massacrarono circa 300.000 abitanti di quella città; Babi Yar in Ucraina tra il 29 e il 30 settembre 1941 dove i nazisti uccisero, seppellendoli in un a fossa comune, 33.371 ebrei; gli omicidi del NKVD, servizio segreto sovietico, che uccise circa 700.000 prigionieri senza processo tra il 1937 e il 1940; la strage di Batak, nel 1876, in Bulgaria, 15.000 morti uccisi in ogni modo dai Turchi; Marzabotto, forse 1.600 uccisi tra fine settembre e i primi di ottobre 1944; S. Anna di Stazzema, ove nell’agosto del 1944, 560 civili furono massacrati dai nazisti; Katyn nel 1940: tra aprile e maggio, furono massacrati dai sovietici circa 22.000 militari e civili polacchi; Porzus, 1944, 17 partigiani osovani furono uccisi dai partigiani comunisti; marzo 1944, Fosse Ardeatine, 335 fucilati dai nazisti per rappresaglia dell’attentato di via Rasella; la stazione di Bologna: 2 agosto 1980, 85 morti; Sabra e Chatila: a Beirut il 16 settembre 1982, furono uccisi circa 800 palestinesi da parte dei cristiano-maroniti aiutati da Israele; Oklahoma City, nell’aprile del 1995, con 168 vittime; le Twin Towers etc. nel 2001, quasi 3.000 morti; Oslo nel 2011, autore Anders Breivik, con 77 morti. E altre, innumerevoli.
E poi i massacri dei tempi più lontani, dei Galli da parte del grande Cesare, di Gengis Khan, di Timur Lenk, massacri di esseri umani, ma ritenuti non tali, reificati dall’odio o da una forma di ragion di stato ante litteram.
Leggo che dal 1970 negli USA sono state uccise almeno quattrocentomila persone, una media di quasi diecimila all’anno. Molto si scrive sulla facilità con la quale ognuno si può procurare un’arma da fuoco, anche micidiale, come il fucile da guerra con cui Omar Meteen Sadik ha ammazzato cinquanta esseri umani. Suo padre dice che aveva maturato un’avversione irresistibile per gli omosessuali, dopo che aveva assistito ad effusioni tra due uomini. Ora l’Isis, che vive difficoltà forse insuperabili sul piano militare e politico, rivendica questa capacità di usare un network terroristico e terrorizzante, efficace e imprevedibile ovunque. Si può uccidere per queste ragioni? E Breivik da Oslo che ragioni aveva?
Quest’ultimo, o quelli del Bata-Clan nel nome di un “Dio/dio” che non conoscono, quello nel nome della razza bianca?
Quanto la tara mentale ha fatto il suo corso in questi sadici assassini?
L’odio è una passione o un sentimento umano portatore di una forte avversione. Sviluppa da questi ultimi la volontà di distruggere l’oggetto odiato, pensando di fare la “cosa giusta”. L’odio modifica la nozione etica nella persona agente, per cui questa ritiene di non dover rispondere a particolari imperativi morali, che non siano parte dell’azione distruttiva decisa. La vittima, perciò, diventa quasi un “oggetto”, smettendo di essere persona, come l’uccisore, unico “soggetto”.
La violenza è un modo di agire umano connotato dall’abuso della forza che provoca danni, dolore e a volte morte ad altri esseri umani. Questo abuso può anche declinarsi in senso non fisico, ma anche morale e verbale-psicologica (ricatti, intimidazioni, minacce).
Quanto odio occorre per fare azioni come quella di Orlando? E quanto concorre ad esso il deficit mentale? Come avrebbe presentato i lobi orbito-frontali Leonarda Cianciulli, la saponificatrice di Correggio, se negli anni ’40/ ’50 avessimo avuto a disposizione la PET per farle una Neuro-imaging?
E’ possibile lavorare sull’odio come passione o sentimento negativo? Se l’hardware del cervello in ciascun essere umano è, per ora, quello che è, e non modificabile, è possibile pensare a diagnosi precoci dello stato “fisico” di quell’organo complesso e delicatissimo?
E’ così facile accettare di morire per uccidere in modo così fanaticamente ottuso? Può darsi certo che il senso di noia e di inutilità provochi in alcuni sindromi di odio disperato e distruttivo, ma noi, come società civili, come strutture socio-politiche, come nazioni acculturate e scolarizzate, che cosa possiamo fare?
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